“Ce groupe amène le black tellement loin qu’il semble sans frontières…” (citazione tratta da un commento di un utente, in riferimento ad Hallucinogen, dal canale Youtube “Black Metal Promotion”).
Una sentenza che, tradotta letteralmente, profuma di vero come non mai, nel caso della (più che) brillante carriera dei Blut Aus Nord: “questo gruppo porta il black così lontano da farlo sembrare senza frontiere…”. Più che un quarto di secolo, sembrano trascorsi eoni, vista la parabola artistica metamorfica dei Blut Aus Nord, da quando a Mondeville, Normandia, vide la luce Ultima Thulée (Impure Creations Records, 1995): l’esordio di un nome più unico che raro del panorama metal estremo. Un lavoro di rara bellezza, che li consacrò fra le promesse del black europeo, in cui ghiaccio, paesaggi innevati e tastiere si amavano e si prendevano in turbini black/ambient di evidente matrice norvegese (rispettivamente, in riferimento ai generi, Satyricon e Burzum si ergevano in qualità di docenti). Da quegli scorci imbiancati a dovere dalla produzione lo-fi tipica della first wave of black metal, la creatura di Vindsval e W. D. Feld ha poi assunto nuove forme, conglobando nelle propria discografia altri generi (avantgarde, elettronica, doom, drone, noise), ma sempre mantenendo un sostrato black, mai accantonato del tutto. Non c’è affatto da stupirsi, pertanto, che i Nostri abbiano potuto un giorno psichedelizzare la propria proposta, in questo nuovo tredicesimo lungo: Hallucinogen. Ad occuparsi ancora una volta della pubblicazione dell’album è stata la francese Debemur Morti Productions, che prosegue così la propria collaborazione con la band, avviata con la trilogia 777 (2011, 2012).
Prima di spendere un paio di parole sul contenuto del disco, soffermiamoci un secondo ad ammirare la splendida copertina ad opera di Dehn Sora: sussurra, anzi, parla. Oranssi Pazuzu e Nachtmystium, tanto per citare due nomi appartenenti al filone psychedelic black metal, hanno dato prova di come il “genere nero” per antonomasia non sia relegato a determinati stilemi noti e arcinoti, anche se “capri e pentacoli” saranno per sempre, ontologicamente, parte di esso. Così, anche i Blut Aus Nord, con la versatilità che da sempre li contraddistingue, tentano di salire in cattedra e scagliano, nell’iperspazio metal, un dardo imbevuto in un cocktail ancora in stadio embrionale, i cui ingredienti principali sono prevalentemente del meloblack, guarnito col contagocce da psichedelia, progressive e un pizzico di heavy rock. E forse, per dare un senso alla citazione in apertura, sono pochi i gruppi in tutta la storia del black che hanno saputo arricchire questo genere come questa coppia di artisti ha saputo fare, deviando, uscita dopo uscita, dal percorso intrapreso nel 1995, fallendo anche, ma senza mai adagiarsi su clichés, su canoni classici e senza temere il confronto con suoni estranei al genere. Hallucinogen ne è l’ennesima conferma, perché offre un’altra proposta del ventaglio pressoché sterminato di soluzioni che il duo Vindsval/Feld può offrire e che potrebbe assumere uno spessore maggiore nelle uscite future, viste le buonissime basi qui poste. Lungi dall’essere la miglior prova in studio dei Nostri e lungi dall’essere un lavoro privo di sbavature o cali, Hallucinogen è, comunque, un primo viaggio cosmico/mentale (e non sarà l’ultimo, come suggerisce la promo…), che adempie in toto a svolgere i suoi compiti: prenderci di peso e catapultarci lassù, molto più in là dell’orbita terrestre, in un punto cieco, buio, di vuoto totale, dove luce e calore non sono scientificamente pervenuti. Un punto x, coordinate sconosciute, dove abbiamo due protagonisti: noi e il niente che ci circonda, ci abbraccia e ci stritola. Rileggendo i generi contro cui andremo a sbattere la testa, sarebbe un grave errore parlare di Hallucinogen come di un disco facile o ruffiano, seppur sia il più melodico in assoluto della discografia dei Blut Aus Nord. Su questo, nessun dubbio. Tuttavia, si tratta di un disco che presenta sfumature che si scoprono e si rivelano dopo numerosi ascolti, lasciando interdetti per come vengono a galla – e per quanto lasciano colpiti e storditi – alcune soluzioni nei migliori tasselli del lotto. La sensazione di vuoto, sottile, pungente, quasi fastidiosa, che pervade l’opener “Nomos Nebuleam”, sovraccaricata da vocals liriche in sottofondo è da marchiare come fil rouge dell’opera ed è, questa prima traccia, un esempio di ciò che si andrà ad ascoltare, esclusa la scia prog sulla quale si stende il brano, arricchita da momenti di pura contemplazione cosmica (7.01-8.28). Con “Nebeleste” si sale sul podio degli highlight: si prende il largo, con i suoi segmenti heavy psych, verso rotte sconosciute, in cui il finale stoner sui generis vale sicuramente il prezzo del biglietto. In “Sybelius”, ci tiene compagnia una drammaticità figlia di questo connubio di tappeti atmospheric black e guizzi psych improvvisi, come ad indicare una perdita totale della rotta, dell’orientamento, della cognizione spazio-temporale, accantonati per poco dal delicato bridge partorito, con gusto, sotto il segno dell’hard rock seventies. Dopo una tripletta più che convincente, si avverte il primo calo con “Anthosmos” e “Mahagma”: poco incidono nella loro spirale di claustrofobia black e con certe aperture che tendono ad una sorta di viking bathoriano in salsa sci-fi. A rendere nuovamente entusiasmante il nostro viaggio cosmico, ci pensa la penultima “Haallucinählia”, che alza ancora l’asticella degli innesti di classe dei Nostri. Minuto 5, secondi 55: blast beat, synth, l’Apocalisse che imperversa per pochi istanti. Visioni di orizzonti nuovi, mondi sconosciuti, così sono, così si materializzano: qui i Blut Aus Nord ci portano davvero lontani, o “loin”, in comune accordo con la citazione iniziale. Tuttavia, l’incantesimo pare spezzarsi con “Cosma Procyris”, e con le sue trame di black/doom all’acqua di rose, che paiono scordarsi totalmente di quella poca psichedelia comparsa nella prima frazione dell’opera.
Hallucinogen risolleva parzialmente la band dal precedente passo falso in studio (Deus Salutis Meæ, Debemur Morti Productions, 2017). Parzialmente, perché come suggerito dalle anteprime, questo lavoro è un nuovo inizio per la band di Mondeville: il primo viaggio verso orizzonti mai esplorati sino ad ora. L’abbondante coesione fra i brani, in questo caso, non sembra essere vantaggiosa, in quanto alcuni di loro peccano davvero di personalità (“Anthosmos”, “Mahagma” e “Cosma Procyris”), reiterando le stesse soluzioni e inclinando, così, la buona qualità dei brani rimanenti restanti. Tuttavia, vale davvero la pena attenderla, la schiusa di questa crisalide…
(2019, Debemur Morti Productions)
1. Nomos Nebuleam
2. Nebeleste
3. Sybelius
4. Anthosmos
5. Mahagma
6. Haallucinählia
7. Cosma Procyris
6,5