Un interessante fenomeno che caratterizza la musica estrema odierna, e non solo, risiede nella labilità della linea che demarca il punto in cui finisce l’area predisposta alla produzione di un genere e ne inizia un altra. Tale tendenza non è estranea nemmeno al panorama stoner/doom/psychedelic, e proprio di questi tre generi i Boar propongono una ben riuscita commistione nell’ultimo full length Poseidon, uscito l’1 giugno 2018 via Lost Pilgrims Records, Dissonant Society, Impure Muzik, S.K.O.D e Rämekuukkeli-levyt. Poseidon arriva dopo uno split, un primo full length ed alcuni EP e quest’ultima produzione della band di Oulu (Finlandia), realizzata negli studios di Audiosiege si avvale di un comparto tecnico di alto livello, in cui ogni strumento è intellegibile, presente ed in your face senza molti complimenti. La produzione di alto livello valorizza tutto il potenziale delle sei tracce proposte, che si svolgono tra riff massicci e psichedelia caratteristica del doom ispirato al culto degli Electric Wizard.
La prima nota di rilievo che viene esposta sin dalla traccia iniziale del disco, nonché titletrack, risiede nelle vocals del bassista Petri Henell, contrapposte alla voce clean e cospicuamente effettata del chitarrista Petri Saarela. Questo binomio si avvale di un gioco di forti contrasti dove, da una parte, vi è la furia di una interpretazione personale di fry voice sgolata ed energica e dall’altra una voce clean immersa in uno spazio profondo ed etereo, come in un miraggio allucinogeno. Le metriche di voce vanno dritte al punto, scegliendo un approccio statico alla dinamica vocale che ricorda l’iconico stile di Jon Paul Davis dei Conan. Riguardo il riffing, quanto introdotto già nel primo brano, viene ribadito con efficacia in “Shahar’s Son”, così come nel resto del lavoro, ovvero un incessante andamento ipnotico pieno di groove, che riporta ai fasti di Witchcult Today dei già citati Electric Wizard, nonché ai primi Windhand e ai pionieri nostrani dello psychedelic doom Ufomammut. Proseguendo con l’ascolto del disco sarebbero molti i grandi nomi della scena da citare da cui i Boar hanno mutuato le migliori peculiarità, fondendole in un unico lavoro, facendone il principale punto di forza di quest’ultimo.
Nella sua completezza Poseidon risulta eclettico, pieno di sfaccettature da gustare ascolto dopo ascolto, come il sorprendente main riff e conseguente linea vocale di “12”, che non lasceranno facilmente la testa dell’ascoltatore e come gli effetti sonori che in questo brano diventano più rilevanti rispetto al resto del disco dove, seppur presenti, sono sapientemente miscelati al resto del suono, spingendo il fruitore dell’opera ad aguzzare l’orecchio per poterli leggere tra le righe. Appunto i sound FX di questo disco costituiscono un dettaglio che fa la differenza nel sound potente e peculiare della band, che auspicabilmente verrà riprodotto fedelmente anche live, anche se viene da chiedersi come, dato che non figura alcun membro ai synth/sound fx, almeno stando alla line-up ufficiale della band. Qualora questa brillante caratteristica venga riportata anche live la band ipoteticamente dovrebbe avvalersi di un session member o di un sample player, accorgimento per cui il gioco varrebbe la candela data l’attenzione riposta a questi elementi del disco. Nell’esplorare diversi territori musicali, tenuti insieme dallo stesso filo conduttore, i Boar in “Fatherless” propongono un riffing energico ma che stavolta verte più verso quel mood selvaggio ed old school di cui gli Orange Goblin sono portabandiera. Nota di risalto del brano è la batteria di Kalle Huttu-Hiltunen, precisa, potente e che si spinge con maestria in fill furiosi e giochi di tamburi che sfociano in un ritmo incessante ai limiti del tribale, che arricchiscono i riff perseguitanti di questa traccia. La sezione ritmica è impreziosita da un basso overdriven e roccioso, che stabilisce delle solide fondamenta, nonché dando di tanto in tanto delle accezioni melodiche extra a quanto proposto dalle chitarre di Petri Saarela e Jari Montone. L’eclettismo di Poseidon continua a ribadirsi in “Dark Skies”, dove, a seguire dell’ispirato dualismo vocale e riffing imperioso della prima parte del brano, si propone una seconda parte in cui i toni vengono schiariti da una chitarra acustica ed ad un basso flat e rotondo che accompagnano una voce melodica, guidando l’ascoltatore fino all’ingresso di una chitarra blues che cattura l’attenzione con un effetto sorpresa tanto gradito quanto inaspettato, per poi cedere il posto nuovamente al mood marziale predominante per tutto il resto dell’album. Ottima la scelta di posizionare “Totally Out Of This World” come chiusura del lotto, in quanto summa delle qualità riscontrate durante tutto l’album, brano in cui il potenziale della band viene espresso appieno in una traccia completa, degna conclusione del disco con i suoi riff ossessivi e lead coinvolgenti, valorizzate da una linea di basso corposa, solida e da una batteria che scaraventa in faccia all’ascoltatore raffiche furiose di rullante e d-beat.
Questo secondo full length degli sludgers finlandesi si designa come mix ispirato dei migliori elementi proposti sinora nella scena, non scadendo mai in una mera copia di quest’ultimi, bensì rielaborandoli con la sapienza artigianale di chi ha fatto proprio un genere musicale ed un mood, facendo spiccare l’album per carattere e risolutezza tra le molte release che il panorama stoner/doom/sludge odierno propone. La crescita artistica della band a distanza di più di tre anni dal precedente lavoro è notevole e tangibile, e sarebbe assolutamente opportuno aspettarsi un continuo sviluppo esponenziale per dare un degno seguito a questo Poseidon. Traccia preferita: “12”.
(Lost Pilgrims Records, Dissonant Society, Impure Muzik, S.K.O.D, Rämekuukkeli-levyt, 2018)
1. Poseidon
2. Shahar’s Son
3. 12
4. Featherless
5. Dark Skies
6. Totally Out Of This World