Sono passati due anni dalla nostra ultima chiacchierata con Nicola Manzan relativa a quello che allora era l’ultimo album di Bologna Violenta, Utopie E Piccole Soddisfazioni. Oggi ci troviamo a discutere dell’ambizioso e ancora più serio Uno Bianca, oltre che a parlare degli innumerevoli progetti che lo hanno visto confrontarsi e suonare con nomi storici del genere oltre che ad ampliare la sua attività di produttore legata all’etichetta Dischi Bervisti. Iniziamo, ovviamente, dalla genesi e dalle motivazioni che lo hanno spinto a dar vita ad un disco complesso come Uno Bianca…
Ciao Nicola, benvenuto nuovamente sulla pagine di Grind On The Road! Due anni fa avevamo scambiato qualche parola su Utopie E Piccole Soddisfazioni, disco che vedo un po’ come il punto di svolta della carriera di Bologna Violenta per vari motivi: uno di questi era la scelta di essere forse ancora più “serio” e personale rispetto a Il Nuovissimo Mondo e direi che con Uno Bianca la strada non sia affatto cambiata. Come mai hai deciso di basare il tuo nuovo disco proprio sulla Uno Bianca?
Penso che fosse una sorta di tappa obbligata della discografia di BOLOGNA VIOLENTA. Inizialmente il progetto è nato proprio con l’intento di dare un’immagine diversa di una città apparentemente felice e cordiale, cercando degli spunti che andassero a toccare proprio la storia della città. Già prima di iniziare con il progetto BV mi era venuta l’idea di sviluppare la storia della banda della Uno Bianca in musica, immaginandola come un mix di musica descrittiva (tipica del tardo Ottocento) e una colonna sonora. Poi il progetto ha preso la sua strada, tirando fuori il lato più grottesco e macabro che c’è in me, ma nel corso degli anni ho sentito sempre più forte l’esigenza di rendere il messaggio più serio e, in un certo modo, più maturo. La storia della Uno Bianca non poteva essere affrontata con superficialità e tanto meno non poteva essere sviluppata sui soliti canoni della “doppia lettura” del messaggio, come avevo fatto in precedenza, visto che si tratta di una storia vera che ha colpito profondamente la città di Bologna (e non solo quella). Quindi ho deciso di fare quello che, probabilmente, potrebbe essere il momento più oscuro e serio della mia discografia, in cui non ci sono momenti che possano far sorridere. Il tutto è coperto da un’aura di tragedia che mancava nei miei precedenti lavori, ma volevo fare un lavoro proprio di questo tipo, oscuro e drammatico fino all’eccesso.
Scusa il francesismo, ma immagino che avrai un attimo le palle piene sulle polemiche di qualche settimana fa relative a Uno Bianca, provenienti oltretutto da un giornale bolognese. Non voglio addentrarmi troppo nella questione, ma mi pare che ormai debba esserci una specie di “etichetta” anche quando si vuole ricordare qualcosa, un malcelato moralismo che rende un momento di raccoglimento solo un fatto di routine. Al di là del fatto che Uno Bianca possa piacere o meno, quello che più emerge è la voglia di non dimenticare e di celebrare, per molti forse in maniera non convenzionale, in maniera radicale quello che successe nel periodo ’87-’98 ricordandone il cinismo delle azioni ma soprattutto chi ne pagò le conseguenze..
Sinceramente non so cosa pensare. Ho l’impressione che i giornalisti in questione abbiano semplicemente tratto delle conclusioni affrettate sulla mia persona e sul lavoro che ho fatto. Tutto questo nonostante io abbia comunque fatto avere il disco a chi poi ne avrebbe dovuto parlare, ma evidentemente ciò non è bastato. Credo che ci fosse la voglia di sollevare un po’ di polverone, forse perché inizialmente qualcuno pensava che il mio disco fosse una celebrazione della banda, ma a fronte delle mie spiegazioni non è rimasto altro che cercare di screditarmi dando mezze notizie ed informazioni sbagliate (tipo il titolo del disco, riportato erroneamente come “Uno Bianca Tour”).
Tutto ciò è parecchio demoralizzante, se devo dirla tutta. Se questa è l’informazione che viene data alla gente e se questo è il tipo di approccio che ha un certo tipo di giornalismo, non ci sarà mai modo di esprimersi liberamente, neanche se si sta cercando di portare dei valori positivi alla società.
Parlando sulla maggiore presenza degli archi in Utopie E Piccole Soddisfazioni mi dicesti che “questo nuovo modo di scrivere mi ha veramente aperto dei mondi, che peraltro magari già conosco, lavorando sempre parecchio come violinista, ma adesso so come farli incontrare o scontrare a mio piacimento; quindi penso che, se da un lato mi piace tenere una visione molto hardcore della cosa, penso anche che continuerò a muovermi in questa direzione per vedere che succede e dove andrò a parare.” Ascoltando Uno Bianca direi che tu abbia ampiamente mantenuto la parola: gli archi sono davvero onnipresenti e mi pare che qui davvero costituiscano la base da cui partire per lo svolgimento dei brani, quasi a mo’ di colonna sonora…
Devo dire che dalla nostra precedente chiacchierata sono passati un paio d’anni abbastanza cruciali per la mia crescita come violinista e musicista in generale. Sono riuscito a far miei quei mondi di cui ti parlavo e l’approccio a quest’ultimo disco è stato diverso, perché sapevo che avrei usato gli archi in maniera quasi ossessiva. Il mio intento era quello di utilizzarli per estremizzare il lato “emotivo” della mia musica, visto che tendenzialmente è sempre stata molto fredda, quasi impersonale da un certo punto di vista. Quindi partendo da una struttura che ricalcava più o meno quanto accaduto durante i colpi della banda (una specie di mini-sceneggiatura da cui poi ho ricavato la guida all’ascolto), ho scritto e registrato i brani seguendo più o meno le stesse “regole” dei dischi precedenti, ma con la consapevolezza che nel momento in cui li avrei arrangiati con gli archi avrei avuto la possibilità di andare a sottolineare ogni determinato momento con la massima espressività e senza comunque pormi alcun limite nell’uso dei più svariati strumenti.
Ho apprezzato molto la scelta di allegare una “guida all’ascolto” di Uno Bianca. Le brevi descrizioni delle azioni della banda oltre a chiarire il perché della presenza o meno dei rintocchi di campana, mettono in luce anche l’andamento stesso dei brani: “30 aprile 1991”, “18 agosto 1991” o “28 agosto 1991” per esempio riflettono tantissimo il caos di quelle che furono certe azioni dei fratelli Savi, spesso disorganizzate e istintive. Dall’altra parte però, l’ascolto di Uno Bianca forse risulta un po’ pesante per questo vincolo “chiarificatore”. Immagino che allegare una guida sia stata una scelta consapevole, non pensi però che che questo intento renda il disco meno fruibile rispetto ai precedenti?
Capisco quello che vuoi dire, ma penso che se non ci fosse la guida all’ascolto i pezzi risulterebbero fini a se stessi, non ci si potrebbe immergere nell’ascolto sapendo cosa ho voluto raccontare. L’idea della guida all’ascolto mi è venuta dai cd allegati alla rivista di musica classica Amadeus, in cui ogni brano viene “sezionato” ed ogni minima parte della struttura viene rivelata. Ovviamente questo risulta estremamente pesante, e me ne rendo conto, però, come dicevo, non potevo lasciare il lavoro a metà. Doveva essere un disco pesante, e tutto sommato non mi dispiace che anche sotto questo aspetto lo possa diventare. E’ un insieme di storie, una specie di audiolibro fatto con la musica estrema e poche parole a spiegare il perché della campana e di certe soluzioni strane adottate durante le registrazioni. Sono consapevole che questo disco sia molto meno fruibile dei precedenti, anche perché manca la componente quasi goliardica dei campioni e dei cut-ups dai B-movie, che rendevano i miei pezzi molto diretti, ma a mio avviso non potevo fare altrimenti con quest’ultimo album.
Bologna Violenta non è solo nichilismo o cinismo e davanti ad uno sfoggio così irrazionale e cieco di violenza come gli omicidi della Uno Bianca ha voluto omaggiare la venticinquesima vittima della banda, Giuliano Savi che si suicida il 29 marzo 1998 ingerendo un’enorme quantità di Tavor. Il brano a lui dedicato è spiazzante, triste ed è a ragione posto in chiusura del disco, in maniera forte e quasi perentoria. La scelta di inserire anche questo brano è stata voluta sin dall’inizio o è arrivata come naturale evoluzione del percorso del disco?
Tutti i pezzi sono stati scritti e registrati in ordine cronologico, perché volevo che ci fosse un percorso ed un’evoluzione naturale dei pezzi, partendo da una iniziale inconsapevolezza per poi arrivare ad un finale in cui avevo ben chiare le idee su cosa scrivere e come rendere al meglio ciò che volevo descrivere, un po’ come era successo per la storia della banda
Il pezzo sul padre dei Savi non era contemplato all’inizio, ma una volta arrivato verso la fine del disco mi sono reso conto che mancava qualcosa, e mi è subito venuta in mente la triste (per quanto molto controversa) storia del padre dei fratelli Savi che si è suicidato all’interno della Uno Bianca di sua proprietà. E’ la chiusura di un cerchio immaginario, in cui il dolore colpisce non solo le vittime, ma anche chiunque sia venuto in contatto in qualche modo con questa vicenda. Volevo che ci fosse un finale quasi da requiem, ma diverso da quanto avevo fatto nel pezzo dedicato all’assalto ai Carabinieri al Pilastro. Volevo fare un qualcosa che lasciasse un velo di malinconia, una specie di strascico emotivo, che però fosse, per così dire, visto da un’altra angolazione, quella del padre orgoglioso dei figli che però non è riuscito a risollevarsi dopo ciò che era successo.
Parlando in generale, da Utopie E Piccole Soddisfazioni in poi ho visto il tuo nome legato a sempre più uscite, iniziative e live. Fra questi il progetto The Sound Of…, live con mostri sacri del calibro di Napalm Death, Melt Banana e Godflesh e collaborazioni che ti hanno recentemente portato a lavorare anche con alcuni di questi artisti, in particolare con Menace e con Jesu. Fra i tuoi mille impegni c’è anche quello di seguire Dischi Bervisti, altra tua creatura indipendente, che ha appena pubblicato l’esordio dei Kaleidoscopic e ha collaborato per la realizzazione del primo disco degli Storm{O}. Com’è lavorare su così grande scala? Possiamo dire che le piccole soddisfazioni sono oggi diventate qualcosa di più?
Le piccole soddisfazioni sono diventate subito delle grandi soddisfazioni, devo ammetterlo. Il disco precedente è stato la prima uscita come Dischi Bervisti e da lì io e Nunzia (la mia compagna e collaboratrice) abbiamo deciso di aiutare altri gruppi di amici o che ci piacevano e avevano bisogno o di un ufficio stampa o di qualcuno che desse una mano economicamente a mandare in stampa un disco. Abbiamo fatto dodici uscite in due anni, curando in vari modi dei progetti anche molto estremi (vedi AMA, che fa dischi con tastierine distorte e noi stampiamo dei cdr con copertina fotocopiata), ma che per attitudine sono molto affini a noi. Coi Kaleidoscopic il lavoro è stato molto diverso, in quanto ho registrato e prodotto artisticamente il disco, mentre Nunzia si è occupata della promozione. Un lavoro durato un anno, tra una cosa e l’altra, ma che alla fine ci piace molto.
Poi ci sono le molte collaborazioni, il progetto con Mitch Harris (Menace) è la realizzazione di un sogno, per quel che mi riguarda (anche con Jesu, comunque…) e mi ha messo nella condizione di lavorare ad altissimi livelli con persone meravigliose che mi hanno davvero dato molto, soprattutto a livello umano, ma che mi mettevano quotidianamente alla prova, almeno a livello professionale.
Non so di preciso come sia lavorare su così grande scala, è la mia vita e cerco di viverla sempre al 100%, dando sempre il massimo e sacrificando spesso sonno e riposo, ma ricevendo in cambio delle enormi soddisfazioni.
Mentre scrivo queste domande sta per partire l’Uno Bianca Tour, sai già come incastrerai i brani di quest’ultimo disco con alcuni di quelli più vecchi e magari “leggeri”? Ma, più che altro, proporrai anche pezzi belli o solo pezzi brutti?
Il concerto è accompagnato dai visual per tutti i pezzi, sia quelli nuovi che quelli dei dischi precedenti. Il concerto è diviso in due parti ben distinte. Nella prima faccio il disco Uno Bianca, poi si riparte dai grandi successi che mi hanno reso famoso (non è vero, ovviamente), cambiando completamente direzione e cifra stilistica. Non so se riuscirei a mischiare il mio ultimo disco con quelli precedenti, non avrebbe senso, più che altro. La storia va raccontata così com’è, altrimenti c’è il rischio di fraintendimenti e di far passare delle cose serie per ridicole.
Di base, comunque, del repertorio faccio solo i pezzi più brutti, mi sembra il minimo. Però i visual sono belli e molto divertenti, un bel mix di sapori che spesso fa inorridire i presenti.
Ok Nicola, non ti farò la solita domanda “quali sono i tuoi progetti futuri” visto che Uno Bianca è uscito da qualcosa come dieci giorni e ti lascio concludere come preferisci. Grazie ancora per il tuo tempo!
Per ora sto pensando al tour, che spero mi porterà in giro per l’Italia (e non solo) ancora per un po’. La preparazione è stata molto faticosa ed ora non sono ancora in grado di mettermi a pensare concretamente a qualcosa di nuovo. Anche se ho già un paio di idee che mi frullano in testa e un po’ di materiale su cui lavorare, ma ripeto, il momento non è quello giusto. Sto finendo di produrre e mixare alcuni dischi di altri gruppi e sto collaborando come al solito come violinista con altri.
Ringrazio te per le domande intelligenti e Grind On The Road per lo spazio che mi concede sempre.
Bervismo per più!!!