Impostisi come una delle realtà più interessanti dell’underground europeo, gli svizzeri Bölzer giungono finalmente oggi al primo full-length: diciamo “finalmente” perché, seppur attivo dal 2008, il duo ha sinora preferito puntare su sporadiche uscite (un demo e due EP) e, piuttosto, su un’intensissima attività live, che li ha portati – meritatamente, considerata la qualità delle loro esibizioni – ad una fama solo apparentemente non commisurata al loro curriculum.
Fautori di una black-death estremamente aggressivo, eclettico e mai banale, con Hero i Bölzer mutano sensibilmente le proprie coordinate stilistiche. Si tratta fondamentalmente di un disco death, ma come fortunatamente accade ormai di frequente è difficile incasellare questa musica in uno schema preciso. Hero è un disco complesso, affascinante, brutale ed epico allo stesso tempo. È infatti caratterizzato da una forte impronta belligerante e, insieme, malinconica: sembra di trovarci su gelidi e desolati campi di battaglia della Svizzera medievale, e combattere non sembra una scelta quanto piuttosto l’unica opzione disponibile: un destino ineluttabile, come in un romanzo di Philip Roth. Se si tratti piuttosto di una battaglia spirituale, questo ciascun ascoltatore potrà giudicarlo.
Hero si apre con due pezzi magistrali, che da soli valgono il disco: “The Archer” e la title track (che dal testo ci pare dedicata a Satana: menzione d’onore). In queste due canzoni c’è tutto quello che abbiamo descritto sinora: con estremo dinamismo, sia melodico che ritmico, i Bölzer dipingono un panorama che è onirico e belligerante allo stesso tempo. La grossa novità rispetto alla precedente produzione della band è l’ampio uso, da parte del frontman-vocalist-chitarrista KzR (al secolo Okoi Thierry Jones), della voce pulita. Scelta, dobbiamo ammettere, non felicissima, anche se col passare degli ascolti molte delle perplessità iniziali sul suo timbro nasale e non particolarmente esteso vengono sopite. La successiva “Phosphor” (con testo in islandese!) è più violenta: la batteria stende un tappeto su cui la chitarra costruisce trame molto aperte ed ariose, sino al finale, che diremmo sciamanico ed introspettivo, che sembra una colonna sonora: ed insieme al successivo intermezzo “Decima”, col suo canto ieratico, pone una cesura al disco, che dalla successiva “I Am III” muta tono. L’approccio si fa più muscolare, la voce torna feroce, anche se l’intricato chorus riproponele clean vocals, che spezzano un po’ la tensione; il brano finisce per sfiorare i nove minuti, forse un po’ troppi. Segue “Spiritual Athleticism”, il cui titolo riesce ad essere ben rappresentato dalla musica. Il pezzo si apre con un assalto frontale, e il ritornello gioca su un riff spaccaossa; la voce si alterna tra scream, growl e il pulito. “Chlorophyllia” contribuisce a spiazzarci ancora di più: i due svizzeri alzano ancora l’asticella con un riff portante decisamente barocco, ed una voce che si spinge su territori sempre più sperimentali, giocando su linee sorprendenti. Il finale del pezzo pare un dolce commiato, che si prolunga nella conclusiva “Atropos”, succinto epitaffio della lunga tenzone.
Non è tutto azzeccato in questo Hero; tuttavia è un grande disco, figlio di una band davvero dotata e coraggiosa, che ha scelto di abbandonare la propria comfort zone proponendo sonorità ed atmosfere inaspettate. Non è un disco perfetto, ed è ostico, pieno di sfaccettature non immediate. Ma saprà meritare il tempo che gli dedicherete.
(Iron Bonehead Productions, 2016)
1. Urdr
2. The Archer
3. Hero
4. Phosphor
5. Decima
6. I AM III
7. Spiritual Athleticism
8. Chlorophyllia
9. Atropos