È una tendenza della quale prendere atto quella che, nell’ultima decina d’anni, vede nella musica estrema (e non solo) la riduzione dell’organico delle formazioni, che sempre più spesso scendono sotto la soglia della tradizionale configurazione di quattro (o più) elementi, preferendo un minimalismo tendenzialmente ancora più carico di intenzioni e comunicazione che quindi non rappresenta un compromesso, ma che piuttosto viene ricercato con grande volontà ed accolto nei modus espressivi specialmente odierni. Il fronte black metal, specialmente contemporaneo, ne rappresenta un esempio, tra band come Mgła (e Kriegsmaschine) o Darkthrone che si avvolgono unicamente di due membri effettivi nella propria line-up ufficiale, ai quali si affiancano dei session men in sede live. Dall’altra parte invece esistono veri e propri duo, come nel caso specifico degli Inquisition e degli svizzeri Bölzer, e se già per sua natura intrinseca la formazione a due elementi deve esulare dai canoni strettamente tradizionali del (black) metal la forma, nonché i contenuti, proposti dal sopracitato duo elvetico assumono un carattere intrinseco ed unico nel suo genere, magnificando allo stato di massimo splendore ogni elemento in atto nell’alchimia primordiale che intercorre nella musica di Fabian “HzR” Wyrsch (batteria) e Okoi “KzR” Jones (voce, chitarra) sin dall’esordio nel 2012 con la demo Roman Acupuncture. Nel corso di sette anni la band ha dunque seguito un percorso ben ragionato quanto istintivo che ha condotto essa ad innovarsi, gradualmente, volta per volta, da una release all’altra, non nei termini dello stravolgimento stilistico e contenutistico, bensì consolidando sempre più i propri elementi fondanti, peculiari ed ineluttabilmente distintivi e manifestandoli, con il passare degli anni, in maniera sempre più significativa ed incisiva. Dopotutto la saga dei Bölzer si basa sui principi dell’istintualità, l’espressione pura e priva di fronzoli, spinta da una passione impulsiva che culmina in un’estasi primitiva non priva di un certo Sturm und drang, come testimonia il significato stesso del nome, derivato dal verbo bolzen (fulminante), parola che seppur sia strettamente legata al tedesco svizzero, quindi di ardua traduzione letterale, viene intesa, come dichiarato dalla band, come “un colpo potente, una forza primordiale che colpisce indiscriminatamente a discapito delle conseguenze o delle ripercussioni. Una forza caotica di vita, morte ed ogni cosa”.
L’ultima incarnazione che di certo non ha mancato il leitmotiv della band è l’EP Lese Majesty, in uscita il 29 novembre 2019 tramite Lightning & Sons, ovvero l’appena istituita label fondata dagli stessi membri della band, che ha dichiarato di considerare tale etichetta come “un passo intrapreso umilmente verso una maggiore indipendenza”. A tale terzo EP della band quindi spetta l’onere e l’onore di aprire il catalogo della neonata label, dunque svelando tale il sipario con coerenza, mettendo in scena, in prima persona, l’operato della band, che prevede quindi una release sia in CD digipak che in vinile.
Nei 29:25 minuti di cui si compone l’EP si evince la consolidata intesa tra i due membri della band che, che continuando sull’incipit stilistico di Hero (attualmente unigenito full length dei Bölzer), viene superata a mani basse, venendo a capo ad una delle annose problematiche a cui si va inevitabilmente incontro dopo quasi un decennio di musica, come il mantenimento di un identità autentica restando comunque coerenti con se stessi. Tale questione diventa ulteriormente importante da affrontare come nel caso specifico dei Bölzer, esibendo essi una discografia tanto esigua quanto estremamente significativa e ricca di contenuti. Sulla cifra stilistica dell’EP bisogna riconoscere che, già dai primi momenti d’esecuzione, il disco viene marchiato dai tratti viscerali ed imperiosi propri della migliore tradizione bolzeriana, mostrando innegabilmente lo stato di salute del duo, che esibisce vistosamente gli stilemi che lo contraddistinguono e che i fan di vecchia data hanno amato ed assimilato. È proprio la opening track “A Shepherd In Wolven Skin” che racchiude fin da subito la ragion d’essere di Lese Majesty, ovvero il potenziamento degli elementi peculiari e consolidati come il riffing sulla chitarra a dieci corde di Okoj, che già dai primi momenti del disco non si fa desiderare nell’esibire la sua migliore veste, facendo esso riferimento ai due emblematici EP Aura (2013) e Soma (2014), seppur non retrocedendo di un passo, piuttosto riprendendo il discorso musicale espresso in Hero (2016). Al contempo il brano rivela, nella sua seconda parte, la natura duale che permea il disco nella sua interezza, ovvero la volontà di proporre degli elementi inediti che scaturiscono dagli stilemi distintivi della band, accostandosi quindi pertinentemente a quest’ultimi. A dimostrazione di ciò vi è l’elemento della voce pulita, che si inserisce adeguatamente nei brani, ed in questa istanza vede un innalzamento del registro, venendo oltretutto articolata maggiormente. Tale elemento, appunto, viene anticipato nei precedenti lavori (soprattutto in Hero) dalle frequenti e caratteristiche sezioni di voce pulita, che vengono esposte frequentemente ma che non si avventurano verso i movimenti proposti in Lese Majesty. Tale caratteristica può di certo essere motivo di dissidio tra quanti apprezzeranno ed accoglieranno queste ed altre novità qui esposte e gli incrollabili fan di vecchia data che magari necessiteranno di più tempo per apprezzare (o per definitivamente obliterare) le nuove vesti qui presentate dai Bölzer. Forse l’involucro formale della band vuole muoversi verso un territorio più melodico rispetto al passato? Potrebbe anche essere una volontà coerente al netto degli anni di attività, considerando anche il peso dei contenuti della discografia precedentemente sviluppata, specialmente se, come dimostrato in quest’ultimo EP, tale rinnovamento di contenuti viene giustapposto alle caratteristiche peculiari della band, sviluppando ulteriormente quest’ultime e non sbilanciando l’equilibrio ribadito in Lese Majesty né da una parte né dall’altra. È comunque possibile individuare uno sviluppo, magari esasperato ma sicuramente interessante, della componente vocale/drammatica di Okoi “KzR” Jones, che dà una grandiosa dimostrazione di teatralità ed espressione nella breve traccia/interludio “Æstivation”, dove l’imperiosa voce declamata si accompagna unicamente di alcune percussioni, respiri ed un synth dalle suggestioni dark ambient. Tale ricerca di uno scenario sonoro tanto suggestivo quanto riflessivo e malinconico si approfondisce specialmente nei 12:01 minuti della traccia di chiusura “Ave Fluvius! Danu Be Praised!” che inizia e finisce avvalendosi di una affascinante sezione di chitarra ampiamente riverberata e sound FX, al fine di costruire un panorama sonoro etereo, in cui si inserisce, austero e monumentale, un articolato brano che rappresenta il miglior momento del caratteristico death/black Metal dei Bölzer. Specialmente in quest’ultima traccia una nota di merito deve andare anche al batterista Fabian “HzR” Wyrsch, il cui drumming rappresenta non solo una solida base ritmica, ma si pone anche come elemento che impreziosisce lo spazio sonico e la proposta musicale totale della band. Un minimalismo atto a stabilire dei ruoli tanto ben delineati quanto non limitanti, lasciando dunque aperta la possibilità non solo di espressione completa e svincolata, ma anche la facoltà di poter superare i limiti strettamente convenzionali degli elementi musicali messi in atto.
In definitiva questo ultimo opus dei Bölzer potrebbe risultare ostico in termini di assimilazione, e tanto più si è legati alla discografia pregressa della band quanto più l’interiorizzazione di Lese Majesty risulterà abrasiva, ma nonostante tale contrasto l’EP si fregia della qualità della solita produzione del duo. Oltretutto, con l’ascolto reiterato dei quattro brani proposti, i contenuti prendono man mano una forma sempre più concerta, riuscendo ad entrare, volenti o nolenti, dritti nella testa dell’ascoltatore. In questa istanza dunque viene dimostrata una presa di coscienza ulteriore da parte di una band che non vede limiti formali sin dai propri esordi, e che si contraddistingue per aver realizzato col tempo un proprio trademark sonico, compositivo ed espressivo unico ed immediatamente riconoscibile, che in questa release viene magnificato e rinforzato nella sua ragion d’essere.
(Lighning & Sons, 2019)
1. A Shepherd In Wolven Skin
2. Æstivation
3. Into The Temple Of Spears
4. Ave Fluvius! Danu Be Praised!