Difficile stabilire con precisione filologica da quanti anni le band stoner/doom abbiano cominciato a comparire con la stessa frequenza della sigaretta dopo il caffè. Ancora più difficile comprendere perché esse abbiano cominciato a prolificare in ogni cantone, fisico o virtuale, del nostro globo. Difficile ancor più credere che questo fenomeno abbia vita lunga, o peggio ancora, che possa stimolare qualcuno ad ascoltarlo ancora in futuro, dal momento che tale ipertrofia di band sta livellando verso il basso la qualità media del genere, come il più classico dei prodotti standardizzati. Poi ci sono le eccezioni, che ci teniamo ben strette, ma, come si ha modo di notare, la possibilità di scoprire qualcosa di veramente valido si sta trasformando in una caccia all’El Dorado che odora solo di ricerca vana e disperata. E si sarà capito, visto l’incipit pregno di pessimismo e delusione (e vista la valutazione finale), che i nostri Book of Wyrms appartengono alla prima categoria: alla fascia bassa del genere posta alla base di un’immaginaria piramide gerarchica.
Passando alle presentazioni di rito, i Nostri sono una band statunitense (Virginia) nata piuttosto recentemente, ma con un pedigree adeguatamente folto se commisurato agli anni di vita: una demo intitolata laconicamente Demo (2015), due singoli, Leatherwing Bat (2016) e Spirit Drifter (2019) e due lunghi: l’esordio, Sci-fi/Fantasy (2017), e questo sophomore Remythologizer, entrambi pubblicati per Twin Earth Records. In tale lavoro viene parzialmente rotta la continuità con il loro passato più recente, puntando maggiormente su un rifframa sempre in chiave doom/stoner in your face di Kyle Lewis, davvero poco ispirato, e su alcuni passaggi synthwave / electro-pop anni’ 80 della cantante Sarah Moore-Lyndsey. Sebbene tali intermezzi costituiscano l’unica parentesi positiva del lavoro, la vocalist esce penosamente sconfitta da questa sua seconda prova al microfono. Nei trentasei minuti emerge una costante pochezza compositiva che si traduce in quattro brani su sei – per l’appunto, i primi quattro – connotati da un songwriting tedioso (su tutte, la doppietta d’apertura), excursus di cattivo gusto (il boogie in salsa neoclassica di “Undead Pegasus”), brani improntati su canonici riff sabbathiani simili tra loro e appesantiti ulteriormente dalla voce piatta e monocorde della cantante. Superato questo scoglio, giungiamo alla breve strumentale “Curse of the Werecop”, un minuto di synth sci-fi che spalanca le porte all’unico barlume di luce (e speranza?) che è la conclusiva suite di nove minuti, “Dust Toad”, di cui si salva la vivace seconda parte.
Generalizzando, ma non troppo, Remythologizer rappresenta, con tutti i suoi difetti e i suoi stereotipi, lo stato di salute dell’intero panorama doom/stoner. Non esattamente un complimento. Metaforicamente: un grosso energumeno dotato di un Q.I. basso, molto basso, che si trascina, baldanzosamente, fuori dal locale, a notte fonda, con l’altro suo amico, che rappresenta l’ascoltatore medio di questo genere. Rovistate bene da altre parti e non siate pigri: in giro si trova di meglio.
(Twin Earth Records, 2019)
1. Autumnal Snow
2. Blacklight Warpriest
3. Undead Pegasus
4. Spirit Drifter
5. Curse of the Werecop
6. Dust Toad