
Dalla loro nascita sono passati diciotto anni e siamo giunti al settimo lavoro in studio per gli americani Born Of Osiris. Formazione che da sempre ha dovuto affrontare cambi di lineup, gli ultimi due abbastanza pesanti con l’uscita del tastierista Joe Buras l’anno scorso e di Lee McKinney quest’anno, che comunque risulta nei credits di questo Through Shadows. Lo stile dei Nostri si è fatto via via sempre più pulito, articolato, con una maggiore cura nelle melodie, lasciando da parte le asperità dei primi tempi (e dischi).
Le prime tre tracce del nuovo album pare vogliano mettere subito le cose in chiaro: nonostante mille e più casini, la band è viva e vegeta ed è pronta a darvi filo da torcere. “Seppuku” è l’opener ideale, intricata ma mai indigesta con la sua mistura di djent, deathcore ed elettronica. Le vocals abrasive che diventano praticamente una chitarra aggiunta, andando a fondere le strofe con il riffing serrato; ottimi i bridge e i chorus, vero fiore all’occhiello di questo disco. La successiva “Elevate” è incredibile: tolte tutte le sovrastrutture deathcore rimane un brano power pop/punk con un linea melodica clamorosa. Come possa funzionare nonostante il wall of sound della band di Chicago, resta un bellissimo mistero. La title-track prosegue il discorso con il suo incedere articolato, il progressive che incontra con successo il metalcore; consuete melodie da urlo e assoli di chitarra che sono una vera goduria per le orecchie. Dopo questo inizio però iniziano i problemi visto che, tolta “Inverno” – brano killer, complesso e variopinto, stupisce per la quantità di idee e soluzioni in così pochi minuti; Bleeding Through sotto traccia, una dipendenza da tossicomane per il prog metal di matrice oscura, con un finale di brano che pare uscito da una rock opera! – la parte centrale del disco è fiacca, noiosa, prevedibile. Il canovaccio ritmico si ripete meccanicamente, non ci sono guizzi o idee che ti lascino con la bocca aperta, tutto è molto telefonato e neppure le melodie, sia vocali che solistiche per quanto riguarda le chitarre, riescono a risollevare le sorti di una manciata di canzoni che, lo anticipo, affossano l’album e il voto finale. Perché non bastano le prime tre tracce, non basta “Activated” con le clean vocals di una bellezza disarmante (Spencer Chamberlain degli Underoath alle seconde voci), non basta neppure “Transcendence”, brano bellissimo con una vena progressive che mette in cattedra tutta la band, numeri da circo, frequenti cambi di registro ritmico, stop and go, tastiere e synth che dipingono scenari emozionanti e accenni arabeggianti disseminati dappertutto, e pure la conclusiva “Blackwater” non basta, nonostante sia un bel brano prog-core melodico e atmosferico. Non bastano; semplicemente le cattive canzoni avvelenano il disco.
In definitiva Through Shadows è un album che non delude totalmente ma che nemmeno strappa un consenso così ampio e netto. Alcuni brani davvero deludenti, al limite del brutto, versus una manciata di canzoni ottime e inappuntabili. Avessero avuto la capacità di realizzare un disco con nove, dieci brani, probabilmente si sarebbe parlato di un mezzo capolavoro. Così, invece, è tutto un “vorrei ma non posso” e a questo punto della carriera è lecito attendersi qualcosa di più (che è stato già fatto in passato e allora auguro alla band di riuscire a confermare la bontà dei precedenti lavori). Sostituire il songwriting di Joe Buras e l’impronta chitarristica di Lee McKinney non sarà impresa facile. Ma superare gli ostacoli porta sempre ad ottimi risultati. Rimandati a settembre, con ottimismo e positività.
(Sumerian Records, 2025)
1. Seppuku
2. Elevate
3. Through Shadows
4. The War That You Are
5. Inverno
6. A Mind Short Circuiting
7. Burning Light
8. In Desolation
9. Torchbearer
10. Activated
11. Dark Fable
12. Transcendence
13. Blackwater


