Quando ho scoperto i Burning Bones e ho letto delle loro influenze — a detta della band, gli Interpol, i Turnover e i pionieri del post-rock come Explosions in the Sky, This Will Destroy You e Mogwai — l’interesse è stato immediato. D’altronde, parliamo delle mie radici musicali: gli Interpol sono la colonna sonora dei momenti più significativi della mia vita, e il post-rock è un genere di cui sento quasi il bisogno, una sorta di rifugio per il mio equilibrio. Mi sono quindi avvicinato a Day Dreams con un misto di entusiasmo e cautela, curioso di scoprire se le promesse sarebbero state all’altezza. E l’ascolto, in soli venti minuti, mi ha folgorato: è stato come immergersi in paesaggi sonori densi e cangianti, dove la nostalgia coesiste con un’energia unica, fatta di aperture luminose e un’ombra sottile di urgenza e inquietudine romantica.
Già dalle prime note di “Intro” si viene proiettati in un universo che evoca le atmosfere dei migliori Slowdive. La malinconia di uno shoegaze ben dosato emerge a fasi alterne, intrecciandosi con un riffing quasi post-punk. Il peso degli Interpol tra le maggiori influenze della band si percepisce immediatamente nella poderosa linea di basso della successiva “Speed Dial”, primo (e strepitoso) singolo pubblicato. Per la prima volta fa la comparsa la voce di Joe Robertshaw, dal timbro sorprendentemente malleabile: qui ricorda un po’ il cantato dei Katatonia, mentre la struttura del brano e le armonie richiamano squisitamente gli Interpol e quel revival new wave che la band interpreta con grande cura. La struttura tradizionale di versi e ritornelli permette alla traccia di sprigionare tutta la sua intensità emotiva nel ritornello, dove riaffiorano echi delle atmosfere oscure degli A Perfect Circle e dei Katatonia, bilanciati da una luminosità di fondo tipica del post-rock. Il tutto è riletto con una sfumatura personale che mantiene saldo il legame con lo stile degli Interpol, in perfetto equilibrio tra echi post-punk e derive alternative rock. Di tutt’altro umore è la successiva “Feed Me Your Love”, che sorprende con un’apertura quasi pop-punk, luminosa, ariosa e (apparentemente) più spensierata. Nei versi la voce resta su tonalità basse e contenute, per poi aprirsi in un ritornello più alto e quasi urlato, che richiama i primi album dei 30 Seconds to Mars, soprattutto nei cori. C’è un’urgenza palpabile e vulnerabile nel cantato, come se ogni parola rappresentasse una corsa concitata verso qualcosa di inafferrabile. Il bridge è la parte più intrigante: il timbro baritonale alla Ian Curtis avvolge il pezzo di una magia new wave, mentre una linea di basso, che sembra uscita direttamente da El Pintor degli Interpol, amplifica questa atmosfera e rafforza la profondità emotiva di quei toni nostalgici dell’indie-rock tanto in voga negli anni 2000. Sul finale, le chitarre si aprono in toni luminosi, quasi a dissolvere la tensione accumulata in una una scia trionfale che porta con sé echi di ricordi lontani. “Time Rules the Mind” (titolo che personalmente adoro) si eleva musicalmente su un tappeto più tipicamente post-rock, soprattutto nei fraseggi malinconici; il cantato, immerso in quei deliziosi riverberi shoegaze, mi fa pensare a qualcosa dei nostri Klimt 1918. I pattern della batteria e il rullante incalzante danno struttura a una traccia che gioca tra generi, portando l’intensità del post-rock in una dimensione più onirica grazie alla voce, rendendo il brano sospeso tra vibrazioni emotive e slanci di pura energia. “Dream Girl” continua su toni simili, ma si arricchisce di un umore più radioso, quasi romantico: il ritornello è solare, e il cantato si sposa armoniosamente con le chitarre, con le note pulite a completare il quadro. In questo caso, la voce emerge come protagonista, spingendo il brano verso un pop-rock arricchito da scelte sonore che rimandano a una sorta di shoegaze meno dilatato e rarefatto. L’EP si chiude con “Day Dreams”, riportandoci, in una sorta di ritorno ciclico, alle atmosfere oniriche del primo brano. Il cantato volutamente monocorde dei versi si apre nei ritornelli; mi sono piaciuti molto i riff a metà brano, merito soprattutto del tono della chitarra elettrica, davvero piacevole. La conclusione, grazie alla batteria che accelera in ritmo, lascia una bella sensazione finale; gli ultimi minuti dell’EP sono essenzialmente un dialogo tra basso e batteria che sa di epilogo, e al contempo, di nuovi inizi.
Day Dreams è un viaggio breve, ma di quelli che lasciano il segno, e porta alla luce un mondo sonoro che mescola le influenze da cui si erge in modo per nulla scontato. La band inglese riesce a evocare emozioni intense con una naturalezza che sorprende, fondendo elementi shoegaze, post-rock e new wave in modo fluido e maturo. La ripetitività di alcune soluzioni negli ultimi brani è forse l’unico limite, ma non toglie nulla alla forza evocativa del lavoro. Se queste sono le premesse, l’attesa di un disco completo non può che essere carica di aspettative: i Burning Bones, già convincenti come band strumentale, sembrano avere molto da dire anche soprattutto grazie alla voce, e Day Dreams ne è solo un primo, interessantissimo, assaggio.
(Autoproduzione, 2024)
1. Intro
2. Speed Dial
3. Feed Me Your Love
4. Time Rules The Mind
5. Dream Girl
6. Day Dreams