Dopo averci deliziato con i precedenti Grand Guignol – Book I (Non Serviam Records, 2012) e The Canticle of Shadows (Non Serviam Records, 2016), e dopo aver riscosso la più che meritata cascata di plausi, elogi e quant’altro nel corso di tutta la fase promozionale dedicata a questi due lavori, è giunto il momento di “ritorni e riconferme” per i nostrani Darkend, qui attesi per la quarta prova lunga. Molti passi in avanti sono stati compiuti da allora dal sestetto di Reggio Emilia: tre anni, come di prassi, trascorsi on the road, volti a supportare degnamente quel gioiello che fu proprio la terza fatica discografica; va ricordata, a tal proposito, la triplice data italica (Roma, Bologna, Retorbido) a supporto dei Batushka lo scorso settembre a coronamento di un percorso fino allo scorso anno radente la perfezione raggiunta, perlomeno, nel loro genere (symphonic / melodic black metal di ampio respiro, con influssi di altri generi).
Al termine del tour e delle registrazioni di questo nuovo Spiritual Resonance, i Nostri si sono accasati presso la norvegese Dark Essence Records che vede, come fiori all’occhiello del proprio roster, due band leggendarie della terra dei fiordi: Taake e Madder Mortem. Come si può intuire, pare che i Nostri abbiano sentito la necessità di dare una svolta alla propria carriera, probabilmente con l’intenzione di ricercare nuovi stimoli al fine di elevare o variare la loro proposta artistica. Una decisione alla quale si deve, senz’altro, dar credito, poiché pronostica un nucleo ribollente in continua evoluzione, pronto a mescolare le carte in tavola, i propri marchi identificativi, in definitiva, ciò che li ha resi riconoscibili nel panorama estremo odierno. O forse sono stati anche disposti a rimuoverne alcune, di queste carte, i Nostri? “Rimuoverne alcune” chiederete voi? Cosa può mai significare? Spiritual Resonance, con i suoi picchi qualitativi, presenta almeno due particolari che non saranno sfuggiti ad un estimatore della band di vecchia data, come lo è, per inciso, il sottoscritto. Il primo, che in una band come i Darkend può destare maggiore scalpore, è la durata: si passa dall’ora e dodici minuti di Grand Guignol, dall’ora scarsa di The Canticle of Shadows ai quarantuno minuti di questo Spiritual Resonance. Il che non è un problema affossante l’opera, tuttavia, va da sé che un taglio così drastico della durata (e della tracklist), comporta delle conseguenze. Una delle principali conseguenze di un abbassamento del minutaggio complessivo è, in questo caso, la maggiore immediatezza che possiede questo lavoro, rispetto a quanto fatto in passato. Spiritual Resonance è il lavoro più fruibile dei Darkend, anzi, gli ascoltatori più rodati potrebbero vederlo, addirittura, come una sintesi del lavoro precedente. Una buona sintesi, ma pur sempre di una sintesi si tratta, depurata di tutte le stratificazioni alle quali ci avevano abituato i Nostri, virando piuttosto su un’alternanza di brani lunghi, veloci od atmosferici, ma abbastanza immediati, come si diceva sopra. Altra sottile linea di demarcazione rispetto al passato più recente è la mancanza di “ospitate di peso” come si era visto nell’ultimo lavoro in studio: Attila Csihar, Sakis Tolis, Necrothytus e Niklas Kvarforth cedono il testimone alla, comunque, eccezionale Lindy Fay Hella, singer dei Wardruna, che spicca per un ottimo refrain ritualistico in “With Everburning Sulphur Unconsumed”, duettando qui con Animæ. Dunque, eccetto questo episodio, i Nostri si affidano a loro stessi e al loro “Extreme Ritual Metal”, al frontman e alle sue vocals (in Dani Filth e Sakis Tolis scorgiamo i modelli, ma senza mai scivolare nella pacchiana emulazione…) inanellando fin da subito una sequela di brani, almeno fino a “Vessel Underneath”, di una compiutezza dalla caratura che non passa inosservata. “The Three Ghouls Buried at Golgotha”, non a caso scelta come secondo singolo, ha tutte le carte in regola per diventare un classico delle band, sia in studio, sia in sede live: l’introduzione è affidata all’hammond di Antarktica, poi il brano si sviluppa come una serpentina lanciata a mille, in questo senso prediligendo l’impatto (doppia pedale/tremolo picking) all’atmosfera, ma scandita da un ritornello da cui zampillano strazio e melodia in contemporanea. Cambiano i registri nella successiva “Scorpio Astraea High Coronation”, in cui i Nostri, tecnicamente parlando, col minimo sforzo ottengono il risultato migliore: pochi riff, ma dall’appeal sulfureo, ruvidi, maleodoranti dello stesso tanfo su cui svolazzano le mosche in chiusura, trascinandoci per cinque minuti in una palude varathroniana. Un altro highlight dell’opera giunge con la già menzionata “With Everburning…”, primo singolo di lancio, in cui confluiscono elementi della traccia precedente, per poi venire illuminati dalla performance di Lindy Hella e dagli incastri tendenti al prog del basso di Vinterskog posti tra i due ritornelli. Nella seconda metà ritroviamo la già menzionata “Vessel Underneath”, che tende la mano ai Rotting Christ, sostenuta da un rifframa vigoroso e da cori da battaglia che danno vita ad una cavalcata poderosa trasudante sangue e morte in ogni attimo della sua ferocia, ma senza mai dilungarsi in momenti di stanca. Difficile, infine, porre sotto riflettori negativi la penultima traccia, “Hereafter, Somewhere”, che si svolge su strutture di chitarra affilate e acute, per poi cedere il passo ad impalcature symphonic e vocals soffocanti di Animæ, realizzando un brano che strizza l’occhio, questa volta, ai Dimmu Borgir di un ventennio fa. Piuttosto, l’unico filler dell’opera lo ritroviamo nella conclusiva “The Seven Spectres Haunting Gethsemane”: quattro minuti e mezzo netti, che oltre alla continua ed imperterrita velocità, lasciano ben poco, causa idee risicate. Ed è stato un peccato, non cesellare un così valido lavoro, affidandosi ad un brano che stupisce, ma negativamente, e non chiude nel migliore dei modi questo lungo.
Escludendo questo disappunto, e ribadendo che Spiritual Resonance non presenta particolari progressi sul piano dell’evoluzione, è comunque un’opera più che dignitosa che pone la band, quest’oggi, in una sorta di bivio artistico: proseguire su questa strada, quella dell’immediatezza, oppure enucleare questo lavoro come un caso isolato, un unicum, nella loro discografia, per tornare quindi al passato. Per il momento, godiamoci il presente.
(2019, Dark Essence Records)
1. The Three Ghouls Buried at Golgotha
2. Scorpio Astraea High Coronation
3. With Everburning Sulphur Unconsumed
4. Vessel Underneath
5. Hereafter, Somewhere
6. The Seven Spectres Haunting Gethsemane