Dopo due EP e due split (oltre a un numero notevole di concerti in almeno un paio di continenti), i veneti Discomfort ci offrono la prima prova sulla lunga distanza. Provenienti da un background decisamente votato al grind, i Discomfort mostrano invece in questo Fear un ventaglio di influenze molto più ampio.
La title-track è un interessante incipit interamente strumentale, che annuncia la direzione del disco: meno sfuriate, più mid-tempo capaci di lasciare spazio alle velenosissime vocals e alla profondità di chitarra e basso, capaci di scavare nel petto. La successiva “Cold” pare addirittura venire dal crossover dei primi anni Duemila, se non fosse per la durata e ovviamente la voce, ed è solo l’inizio di una serie di suggestioni che rimandano sì al grind, al punk e all’hardcore – “Bodies” potrebbe essere un pezzo dei Rotten Sound – ma spingendosi talvolta in territori ancor più alieni: “Unborn” sembra venire addirittura da uno dei primi dischi dei KEN Mode, mentre “Trapped” risalta per il suo finale incupito da una chitarra alienante (stessa soluzione usata in “Deprive”). Ma, in generale, non c’è mai tempo di annoiarsi, perché i pezzi riescono tutti ad essere riconoscibili e a tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore; se si può fare una critica è relativa alla traccia conclusiva, che fa sorgere il sospetto di essere servita solo ad allungare il minutaggio.
Ma è una piccolezza. Fear è un buon disco, denso e scuro, che trasmette tutto il malessere che la band voleva comunicare; un album complessivamente omogeneo ma tutt’altro che monolitico, anzi come detto pieno di influenze talvolta lontane da quelle che ci si aspetterebbe da un gruppo “grind”: etichetta che ai Discomfort va ormai, evidentemente, molto stretta.
(Epidemic Records, 2018)
1. Fear
2. Cold
3. Siege
4. Trapped
5. Bodies
6. Unborn
7. Faith
8. Deprive
9. Longing
10. Divide