Lo scorso sabato 28 maggio si è tenuta allo Slaughter Club di Paderno Dugnano (MI) la quarta edizione del Doom Heart Festival, dopo due anni in cui è stata rinviata, evento organizzato da Doom Heart insieme ai bresciani (EchO) il cui nome è già abbastanza chiaro nel far capire gli stili delle band che ci suonano. Andando a prendere a piene mani dalla scena doom metal sia nostrana che estera è nata questa serata, durante la quale hanno suonato cinque gruppi, ognuno con la propria interpretazione del genere. Di fronte a un pubblico non particolarmente affollato, ma sicuramente affiatato, questo stile di musica ha dimostrato il potenziale espressivo che ha in sede live.
Il compito di aprire la serata spetta ai For the Storms, band nata dalle ceneri degli Shantak mantenendone tre quinti della formazione. I bresciani per l’occasione hanno suonato interamente il loro album di debutto, The Grieving Path, uscito nell’autunno del 2021, e il suo valore in studio si è tramutato in un’esibizione suggestiva, dall’ottimo impatto. Il quintetto segue stilisticamente le orme di colossi quali Swallow the Sun e October Tide, il cui doom metal è molto evocativo, dominato dallo sconforto, con melodie funeree ed elementi death metal incisivi. Da sottolineare come questo fosse il primo concerto per la band lombarda, tenuto senza esitazioni. Una partenza decisa per il festival, e piena di speranza per il futuro di questa formazione nostrana.
Si rimane in Italia e in Lombardia per la successiva esibizione, quella mortifera degli Esogenesi. La band gioca in casa, essendo originaria proprio di Milano, e si presenta con una line-up rinnovata rispetto a quella che ha registrato il debutto omonimo datato 2019, con due nuovi membri che ne fanno parte, con cui è già stato composto del nuovo materiale. Il concerto del quintetto si posiziona proprio a metà strada tra passato e futuro, vista l’esecuzione di pezzi che faranno parte del loro prossimo disco. Le influenze death metal sono presenti anche nel loro caso, incastrate in un doom molto vicino al funeral in certi passaggi, per un connubio imponente e spietato. Un’esibizione, quella dei milanesi, che riesce a essere al contempo drammatica e sferzante, mentre rapidamente cattura catturare nelle sue atmosfere e invoglia a tenere sott’occhio gli sviluppi di questo progetto.
La prima formazione internazionale a suonare nel corso della serata sono i Pilgrimage, divisa tra Malta e Paesi Bassi, e anche loro con all’attivo un solo album che hanno proposto nella sua completezza, Sigil of the Pilgrim Sun. Il loro sound non si discosta particolarmente da quello degli opener For the Storms, con altri richiami a formazioni storiche che si possono sentire nelle composizioni. Nei sette brani suonati sono evidenti le impronte risalenti agli albori del doom/death metal, così come non vengono nascoste le aperture melodiche che li rendono più vari e coinvolgenti. Pur soffrendo un po’ troppo delle influenze esterne presenti nella loro musica, che la rende sì godibile ma non memorabile a lungo termine, i cinque musicisti si dimostrano decisi nel tenere il palco e non lasciano comunque delusi dopo i circa cinquanta minuti di esibizione.
Con i Descend into Despair arriva il momento più tetro e decadente della serata. La formazione da Cluj, Romania, propone un funeral doom i cui brani son macigni immensi, non solo per la durata, ma per le atmosfere asfissianti che li compongono. Caratteristica peculiare è quella della formazione con tre chitarre, elemento che contribuisce a rendere le canzoni intercambiabili e dinamiche pur mantenendo i ritmi funerei tipici del genere. Con due pezzi estratti dall’ultimo Opium (2020) e uno dal precedente Synaptic Veil (2017), i Nostri fanno calare le tenebre proponendo un’esibizione intensa. Chiaramente il set meno accessibile e facile da digerire della serata per le caratteristiche della musica, ma la sua natura imponente si fa apprezzare molto, anche per i riferimenti ad altri generi avvertibili in diversi momenti.
Tutti rigorosamente in giacca e cravatta, nonostante il caldo di fine maggio, gli Hamferð suonano come headliner della serata, concludendo la serata con il loro doom/death metal dalle atmosfere cupe e teatrali, che si addicono al loro stile sul palco. La band dalle isole Faroe con i propri due album e due EP all’attivo si può collocare tra quelle più influenti per il genere nell’ultimo decennio, e ha confermato il proprio valore con un set anche nel loro caso vigoroso. La voce di Jón Aldará, insieme alla sua presenza scenica minima ma accurata, ci mette poco a catturare l’attenzione, per l’energia e l’espressività che la contraddistingue nell’alternarsi tra growl e pulito. Non da meno le strumentali, precise ed evocative, capaci di creare un contesto drammatico che si fa ammirare per tutto il concerto. Il modo migliore per chiudere un festival dedicato al doom metal: un’esibizione che riprende ed esalta le caratteristiche principali del genere nella sua enfasi.