Giunti alla quarta prova sulla lunga distanza, i tedeschi Downfall of Gaia possono a pieno diritto essere considerati dei pesi massimi del post-black europeo. L’uscita di questo Atrophy era dunque attesa con una certa curiosità, anche per il cambio di formazione che ha visto uscire lo storico chitarrista Peter Wolff e l’ingresso in formazione, al suo posto, dell’italiano Marco Mazzola.
Atrophy segue di due anni il non esaltante – ma neppure pessimo – Aeon Unveils the Throne of Decay, e già il titolo, ridotto ad un’unica parola rispetto alla prolissità dei precedenti, sembra suggerire la volontà di imprimere una svolta allo stile della band. Se infatti il genere non muta, rimanendo ancorato ad un evocativo black atmosferico (talvolta sporcato di sludge e crust), l’approccio dei tedeschi è più conciso e meno dispersivo: sei tracce per “appena” quaranta minuti (sia Aeon… che l’ancora precedente Suffocating in the Swarm of Cranes si attestavano sull’ora di durata), e soprattutto una compattezza di fondo in tutti i pezzi che consente di mantenere sempre alta la tensione e rende ogni canzone davvero godibile, con l’eccezione del consueto – e, al solito, non imprescindibile – intermezzo acustico che risponde al nome di “Ephemerol II”. I Downfall of Gaia ripropongono quindi le loro melodie dolorose, grigie, accompagnate da vocals disperate, che aprono scenari desolanti dinanzi alla tragedia che è appena avvenuta, o che è imminente.
Ma qui ci sono, soprattutto, i riff, che funzionano, perché rimangono in testa, ed un notevole dinamismo ritmico che lascia sempre presagire sorprese dietro l’angolo: due caratteristiche ben condensate in “Woe”, per chi scrive il pezzo migliore del disco. “Ephemerol”, poi, si apre con una melodia onirica, guidata da una chitarra pulita, per poi trascinarci in un vortice di intensità molto coinvolgente; mentre la title-track è sostenuta da un riff di notevole ispirazione, che si appoggia ad un devastante tappeto di batteria. La conclusiva “Petrichor” esordisce sommessa prima di divenire travolgente nella sua cavalcata di black scandinavo, per poi diluirsi – e, onestamente, un po’ perdersi – in un lungo finale di pianoforte.
Atrophy riporta i Downfall of Gaia ai fasti di Suffocating in the Swarm of Cranes, riconsegnandoci una band in grandissima forma, che non solo sembra aver ben assorbito il cambio di formazione, ma che anzi da esso sembra aver saputo trarre nuova linfa ed eliminare alcune ridondanze che avevano azzoppato la precedente prova in studio. Un bellissimo disco, intenso come pochi, seppur non sorprendente: per chi scrive, uno dei dischi dell’anno.
(Metal Blade, 2016)
1. Brood
2. Woe
3. Ephemerol
4. Ephemerol II
5. Atrophy
6. Perichor