Constatato che quello del doom metal sia un mood da interpretare in modo personale, sicuramente attingendo a piene mani dall’eredità stilistica lasciata dai primi sei dischi dei Black Sabbath, va sottolineato che in un panorama così ricco, tanto di band quanto di svariate sfumature, non è sottintesa la qualità di qualsiasi lavoro che rientri in questi canoni stilistici. A superare la scrematura che portano verso il territorio fertile della scena doom sono gli americani (Richmond, Virginia) Druglord, che con il loro ultimo full-length New Day Dying danno prova di aver fatto proprio un genere e le sue peculiari atmosfere, senza comunque scadere in facili cliché, piuttosto mettendo insieme un ottimo disco di sei tracce di doom metal autentico, che si inserisce pertinentemente nel filone di release d’eccellenza dell’ultimo periodo ma che fonda le proprie radici sui grandi esempi del passato. Quest’ultimo disco del trio statunitense è uscito il 14 settembre 2018 via Sludgelord Records. Particolare e che fa riflettere è la scelta di distribuirlo unicamente in formato digitale e tape, quest’ultimo sicuramente definibile come media che negli ultimi anni sta avendo un notevole ritorno in voga, che continua ad aumentare in maniera esponenziale.
Spicca sin dalla prima traccia “Blood and Body” la voce di Tommy Hamilton (anche chitarrista della band), che emerge dal muro di suono di riff implacabili e marziali. La scelta della qualità vocale è più che azzeccata, dando al disco una particolarità in più per farsi ricordare piacevolmente, proponendo vocals poliedriche che calcano diversi territori che passano tutti da esempi di eccellenza quali Dave Wyndorf dei Monster Magnet, Ozzy Osbourne per arrivare al King Diamond dell’era Mercyful Fate. A supporto della voce ci sono dei trattamenti di riverbero e delay ed in alcune sezioni distorsione e modulazione che meritano una menzione d’onore poiché si inseriscono come pura valorizzazione vocale senza mai essere invadenti o snaturare l’interpretazione vocale di Tommy. Così come la voce tutta la produzione del disco, registrato e mixato al Phantom Sound Recording & Reproduction da Garrett Morris (Windhand), è eccellente. Sicuramente la collaborazione con Morris (risalente all’LP Enter Venus del 2014) non si limita solo al comparto tecnico del disco ma indirettamente anche a livello di ispirazione, dato che non è impossibile accostare il tipo di riffing proposto a quello dei Windhand, specialmente dei primi lavori, che risulta imponente e dominato da una chitarra fuzzata all’estremo che non retrocede un attimo per tutto il disco, sia per gain che per qualità dei riff. Valorizzando quest’ultimi si inseriscono i soli di Hamilton che riportano ai fasti dell’heavy metal ottantiano ma che non eccedono in facili virtuosismi, piuttosto hanno funzione esplicativa di quanto propone il brano.
I brani seppure orbitino attorno al concetto di composizione “riff-based”, tratto peculiare del genere, offrono diversi accorgimenti e molteplici finezze che arricchiscono il complesso, come ad esempio la lead finale di organo elettrico in “Walk With God”, dal sapore nostalgico e che fa riaffiorare alla memoria i classici da cui il doom metal eredita i propri caratteri distintivi. A metà album si pone “Rot Of This Earth”, crocevia che si impone con i suoi 9:03 minuti, che non risultano mai stancanti, piuttosto che coinvolgono ad ogni riff e convincono, facendo desiderare all’ascoltatore ancora più materiale da poter ascoltare, difatti il posizionamento di questo brano a metà disco è assolutamente azzeccato, poiché altre tre brani di grande qualità accompagneranno l’ascoltatore nel viaggio proposto in New Day Dying. Aprendo la seconda metà del disco, in “Buried Demons” si riscontrano delle armonie e delle atmosfere distese ed intossicanti che ricordano i Monolord. Altro elemento che richiama il trio svedese è il basso roccioso e distorto di Julian Cook che fornisce delle solide basi e dei particolari elementi melodici che contribuiscono a mantenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore dall’inizio alla fine del full-length. L’intro di “The Flesh Is Weak” è un esempio da manuale di come usare il palm-muting di un una chitarra enormemente fuzzata, risultando in torbidi riff di maestosa intensità, caratterizzanti anche il resto del brano, così come il resto del lavoro che da una parte esibisce una profonda interiorizzazione della psichedelia e dall’altra un doom metal impietoso e senza rimorsi. Chiudendo il disco la titletrack dispiega con forza la combinazione di vocals spiritate, riffing implacabile ed una sezione ritmica che senza riserve erge un muro di suono invalicabile costruito su un mid-tempo marziale e che sostiene gli ispirati soli di Tommy che solleticheranno la memoria dell’ascoltatore esperto riportandolo ai fasti dell’epoca d’oro dell’heavy metal.
L’ultima uscita dei Druglord è un’opera completa, frutto di un power-trio che ha ben chiaro il proprio obiettivo artistico e che ha realizzato un terzo full-lenght più che maturo ed incisivo, che per concretizzarsi ha richiesto quattro anni dal precedente già ottimo Enter Venus. New Day Dying è una disamina oculata di quanto una band doom metal debba fare oggigiorno per rimanere fedele a se stessa in un genere in forte espansione e con una proposta indiscutibilmente ampia, ma che riesce a regalare ai fan, vecchi e nuovi, delle pubblicazioni di innegabile qualità che consumeranno a dovere le testine del mangianastri o il tasto play dello smartphone, ricordandoci ancora una volta che la dualità tra passato e presente, se posposta a ragion veduta, è uno degli elementi che ha reso grande questo panorama musicale. Traccia preferita: “The Flesh Is Weak”.
(Sludgelord Records, 2018)
1. Blood and Body
2. Walk With God
3. Rot of This Earth
4. Buried Demons
5. The Flesh Is Weak
6. New Day Dying