(Southern Lord Recordings, 2014)
1. Torn By The Fox Of The Crescent Moon
2. There Is A Serpent Coming
3. From The Zodiacal Light
4. Even Hell Has It’s Heroes
5. Rooks Among The Gates
È con grande piacere che ci ritroviamo ad ascoltare il nuovo lavoro degli Earth di Dylan Carlson, band riconosciuta come capostipite del fenomeno drone che annovera tra le fila di seguaci anche gentaglia del calibro di SunnO))), Aethenor e molti altri. Dopo la precedente doppietta di lavori Demons of Light, Angels of Darkness ci si era un po’ preoccupati per la salute della band, sempre più virante verso lidi eterei e meno ispirati se paragonati al passato della stessa, ma stavolta pare che Carlson abbia deciso di riprendere in mano la sua creatura e ridarle linfa vitale tramite un ponderato stravolgimento.
Prima di tutto, niente violoncello ad accompagnare i guru del drone stavolta, e nemmeno suoni esageratamente delicati o atmosfere rarefatte. Carlson si prodiga con questo lavoro a dare nuova vita a quelli che erano i suoni lisergici del passato gestendo la sua musica con il gusto maturato in tanti anni di composizioni, fornendoci qui un ipnotizzante amalgama di stoner, psichedelia e drone senza scordare anche l’intervento di due illustri guests che vi saranno svelati a breve. Sentire una qualsivoglia distorsione nel sound degli Earth fa già sperare bene dal primo secondo in cui “Torn By The Fox Of The Crescent Moon” vi investe con la potenza di questo terzetto sensibilmente rinvigorito, che qui si diverte a dare sfogo alla traccia più carica e movimentata del lotto, dove lo stoner flirta con la psichedelia e la chitarra di Dylan suona finalmente davvero ispirata, dando sfoggio di un’attitudine quasi da rockettaro con la crisi di mezz’età. Non aspettatevi una traccia dei Down, bensì ascoltate in rigoroso ordine l’album precedente e poi immergetevi in un primo approccio con questo, ed allora sì che questa prima traccia sembrerà correre su binari impazziti comandati da un possente palm muting iniziale.
Già con “There Is A Serpent Coming” potrete gustarvi un’altra gustosa sorpresa di Primitive And Deadly, ovvero le due voci ospiti che si prendono carico di dare man forte a Carlson e soci nella traccia già citata e nelle successive terza e quinta traccia. Mark Lanegan stesso si prende carico di due tracce su tre, la seconda e la terza, e diversamente dallo stile cantautorale ultimamente seguito nella sua carriera solista si fonde qui all’unisono con il mood comandato dalla chitarra di Dylan, regalandoci una delle migliori tracce del lotto. Dopo di questa ci si imbatte nella prestazione vocale di Rabi Shabeen Qazi, cantante dei Rose Windows, alle prese con il pezzo più lento e forse noioso dell’intero disco per via dell’eterna ripetitività della composizione, ma con questo non si vuol certo definire la traccia brutta o inascoltabile, solo di poco inferiore alla caratura degli altri brani.
Si procede con “Even Hell Has It’s Heroes” (che titolo signori miei!), traccia che trascina con sé un polveroso ricordo di quel far west che fu, tra polvere, dilatazioni musicali e una percettibile nostalgia atavica nel sound. Dopo essere stati storditi dalla ipnotizzante song precedente ci si ritrova a meditare sulle note che questa composizione ci dona e non si può non rimanere impressionati dal guitar work di Carlson stesso, finalmente dopo anni (ultima prestazione dello stesso livello dietro la sei corde la si può ricondurre al bellissimo The Bees Made Honey In The Lions Skull del 2008) veramente presente e vitale quasi a lasciar intendere di aver lasciato da parte lo spettro a cui per tanto tempo ha lasciato il controllo.
I fantasmi di quest’uomo sono ancora ben udibili nell’insieme di note che compone Deadly And Primitive ma per fortuna non siamo alle prese con una povera anima che si trascina per un corridoio interminabile, stavolta Dylan ha somatizzato efficacemente il dolore che lo accompagna e tira fuori tutta la sua potenza onde dimostrarci che non è ancora un relitto. Detto ciò, preparatevi alla conclusiva “Rooks Across The Gates”, dove Lanegan si traveste da Caronte per traghettarvi alla fine di questo percorso polveroso ed inebriante dopo avervi lasciato per quasi quattro minuti tra le grinfie della follia distorta di Carlson stesso. È un percorso finale di nove minuti fatto di sofferenza e malinconia ma fidatevi, non abbandonate mai la barca perché la riva per quanto lontana presto o tardi giungerà all’orizzonte.
Possiamo dunque dire con tranquillità che gli Earth si siano ripresi egregiamente dagli ultimi lavori non eccelsi e che grazie a questa prova di forza (data la potenza sonora non si può definire altrimenti) si siano ripresi senza fatica il loro posto di guru del drone più genuino che non teme però un imbastardimento della proposta, perché dopotutto sopravvivere è l’istinto più primitivo.
8.0