Sono trascorsi ben otto anni da quando l’onda sonora dei bresciani (EchO) – ben rappresentata dalle parentesi contenenti il monicker – si è propagata per la prima volta nel sottobosco underground della penisola, attraverso il loro primo lavoro sulla lunga durata, Devoid of Illusions. Da allora, il doom death ceruleo delle origini si è progressivamente rarefatto, squarciando il fitto velo del riffing coriaceo che caratterizzava l’alchimia della band, e lasciando straripare dagli scampoli effluvi più prog e atmosferici, che pure ne erano già parte consistente. Non si può dunque parlare in questo caso di un vero e proprio tradimento, bensì di una traduzione del medesimo orizzonte di significati in una forma più fluida ed elegante, inglobando sfumature lisergiche che possiamo cogliere tenendo in mano il bellissimo artwork che fa cornice al lavoro. Sotto una coltre di nuvole splende dunque un songwriting dalle consistenti influenze swallowiane, ma in cui la lettera di Juha Ravio è sublimata nello spirito di una creatura che ne trascende e piega le coordinate alle proprie esigenze espressive. Per quanto ardua appaia l’impresa di brillare di luce propria in un simile genere ampiamente esplorato, i riferimenti colossali e una semantica plasmata da lavori ben noti alla critica e agli appassionati del genere, la formazione tricolore vi riesce in maniera magistrale, e vi racconteremo come.
Le premesse precedentemente delineate trovano difatti immediatamente compimento nella opener “(Y)our Warmth”, dischiudentesi con un arpeggio melanconico in chiave minore che ci accompagna sino al corposo riffing che anima la composizione. Un guitar work vivido e mai banale, l’intreccio tra growl, utilizzato in strofe e sezioni mediane, e le clean vocals morbide e suadenti del refrain impreziosiscono un brano armoniosamente studiato e congegnato in tutte le sue componenti, infatti gli undici minuti che lo compongono non concedono neppure un istante al tedio. L’incipit di “Glimpes and Fear”, caratterizzato da partiture ricordanti, per certi versi, gli Opeth di Blackwater Park, disegna la cornice di un paesaggio popolato da linee melodiche toccanti e raffinate negli intermezzi maggiormente atmosferici, in cui le sei corde si intrecciano alle tastiere, gelide e lancinanti laddove il riffing si fa più teso ed energico. Dopo una cesura, rappresentata dalla struggente strumentale “Culmine 2.18”, è la volta di “Blind Snow” che, con le sue movenze maggiormente sostenute nell’incipit, si addentra in una narrazione funerea disegnata da una sezione ritmica a tratti cadenzata, a tratti furiosa sino al blast beat. Tale furia lascia tuttavia posto a “My Burden”, ballad dai tratti esistenzialisti, sostenuta ancora una volta dalle meravigliose doti vocali di Fabio Urietti, nonché dalle chitarre distendenti armonizzazioni cariche di pathos. In “The Ferryman” prevalgono tinte maggiormente maestose e imponenti, pur nella cura spasmodica per il versante più melodico e morbido della composizione: il riffing si fa qui estremamente memorizzabile e, per certi versi, catchy, senza per questo risultare banale o poco incisivo. A concludere magistralmente il lavoro è “Awakening”, in cui gli elementi precedentemente delineati precipitano e, allo stesso tempo, sublimano in un crescendo drammatico.
La cura che si è avuto modo di osservare e descrivere nel songwriting trova il proprio compimento in una produzione tra le più certosine esistenti in ambito doom/death: l’immagine stereo risulta estremamente studiata, le chitarre non presentano controfase o frequenze che si annullano a vicenda, laddove il basso è gradevole e udibile, soprattutto in virtù di una cassa secca e mediosa. Il mixaggio, nelle mani sapienti di Greg Chandler (voce e chitarra degli Esoteric) restituisce suoni “scolpiti” e ben delineati. È impossibile rilevare in questa sede criticità, elementi non riusciti, o sbavature: Below The Cover of Clouds è un’opera completa, complessa e stratificata nella sua apparente fruibilità, il prodotto maturo e consapevole di una band con esperienza ultradecennale e qui assolutamente consacrata. Qualsiasi amante del death/doom a tinte goticheggianti non potrà che amare oltremodo questo lavoro, una vera gemma che non ha nulla da invidiare a produzioni estere ben più blasonate.
(BadMoodMan Music, 2019)
1. (Y)our Warmth
2. Glimpses and Fear
3. Culmine 2:18
4. Blind Snow
5. My Burden
6. The Ferryman
7. Awakening