La pandemia ha fatto anche cose belle. Questo incipit, alquanto nero e grottesco, ha un fondo di verità se inquadrato nell’ambito musicale, perché è indiscutibilmente vero che l’isolamento forzato, la reclusione, l’allontanamento, il silenzio, il distacco, hanno portato a guardarci dentro e tirare fuori tante cose inaspettate. Dischi belli, bellissimi, unici, ne sono usciti e questo debutto degli inglesi English Teacher ne è l’ennesima conferma. Nato dalle ceneri di altri gruppi, il quartetto pubblica un EP e una manciata di singoli e Oltremanica vengono bollati subito come la next big thing nel rigoglioso bacino post-punk, un genere che rischia di fagocitare tutta la scena d’Albione. La band stessa però rifiuta questa affiliazione, loro si sentono molto di più che qualcosa di punk in salsa moderna, e hanno ragione da vendere! Questo This Could Be Texas è un caleidoscopio di stili, un spumeggiante compendio di filoni musicali degli ultimi cinquant’anni, a stare stretti, ovviamente in una veste elegantemente al passo coi tempi; azzarderei a dire che gli inglesi abbiano fatto loro il tempo, piegandolo a proprio piacimento, dando forma a canzoni che, anche in pochi minuti, sanno regalare panorami sempre nuovi, con coordinate impazzite che perderci la testa alla fine risulta un piacevolissimo vagare.
Lily Fontaine scrive testi malinconici ma anche ironici, che prendono il centro della scena reclamando il proprio spazio nel mondo, “ehi, ci sono anch’io, sono qui, e se fallisco va bene uguale”. Si parla di viaggi, non solo figurati, come in “Albatross” che ci introduce all’album con la sua delicata inquietudine. Il basso vibrante di Nicholas Eden tiene su tutta la baracca di “The World’s Biggest Paving Stab”, uno dei due singoli del disco, mentre le liriche di parlano di autodeterminazione e presa di coscienza di sé stessi. Uno dei capolavori del disco è certamente “Broken Biscuits”, un’architettura di impossibile bellezza, mentre la voce nervosa, telegrafica e quasi balbettante di Lily ci dice che tutto sta andando a pezzi, un’assoluzione da tutti e per tutto. Il pop post atomico di “I’m Not Crying You’re Crying” continua a declamare l’autodeterminazione di un’intera generazione, tirando le somme e levandosi, finalmente, tutti i sassolini – oramai macigni – da scarpe logore e zuppe di sangue e dispiacere. La sezione ritmica è martellante, sottolinea e accentua gli umori riottosi così meravigliosamente descritti nel testo. This Could Be Texas già con queste quattro canzoni ha fatto poltiglia del mio cuore, ma non tutto il lavoro gioca su toni così concitati. Infatti nella tracklist trovano spazio ben quattro ballate, tutte diverse tra loro. “Mastermind Specialism” smorza i toni dei primi brani, chitarre acustiche, archi, diventa quasi una cantilena e le linee vocali, così distaccate, aumentano la strana piacevolezza del tutto, particolari che per altro ritroviamo anche in “Best Tears of Your Life”, dove aleggia un senso di addio, ci sono pentimenti in atto, paure mai sconfitte, ansie sempre pronte a riabbracciarci. “Blister My Paint” è l’equilibrismo relazionale che vacilla sempre di più: un pianoforte apre i condotti della tristezza, la nostalgia rompe gli argini, diventa fiume in piena ed ecco “Sideboob” tra jazz sensuale e synth anni Ottanta; farsi sommergere dalla corrente è il sogno che mette pace su ogni cosa.
La band di Leeds scrive canzoni meravigliose, la musica – davvero mai uguale – è un tappeto di pregevolissima fattura, dove Lily Fontaine, Lewis Whiting (chitarra solista e synth), Douglas Frost (batteria) e il già citato Nicholas Eden alle quattro corde, possono raccontarci di case abbandonate, di fughe nella notte, di lividi e fratture, di chi ha successo e di chi, invece, tiene insieme i cocci di una vita frastagliata, di un passato che è inferno, un presente che è purgatorio, un futuro che mai sarà paradiso. Un album strepitoso: post punk, art rock, math, progressive, pop, altre robe, altri suoni, sapori, odori, déjà vu, sogni, date segnate col pennarello, fiori lasciati seccare dentro ad un libro, sorrisi, occhi velati, macchie sulla pelle. La Vita, insomma.
(Island Records, 2024)
1. Albatross
2. The World’s Biggest Paving Stab
3. Broken Biscuits
4. I’m Not Crying You’re Crying
5. Mastermind Specialism
6. This Could Be Texas
7. Not Everyone Gets to Go to Space
8. R&B
9. Nearly Daffodils
10. Best Tears of Your Life
11. Blister My Paint
12. Sideboob
13. Albert Road