Monad è il primo album degli olandesi Farer: un debutto che sa di eterno ritorno, non solo per quanto musicalmente esposto, ma anche per il background della band, difatti quest’ultima si compone di musicisti navigati, quali Frank de Boer e Sven Jurgens, rispettivamente basso e batteria già in forze all’outfit sludge/doom metal Ortega. I due artisti, raggiunti da Arjan van Dalen, formano nel 2013 il trio stoner/doom Menhir, mentre nel 2019 la band cambia moniker in Farer, mantenendo il trio nella peculiare formazione a due bassi, ma rinnovandone la forma adeguatamente ad un nuovo contenuto, sicuramente più oscuro, minimale e carico di spleen. Il full length Monad è disponibile dal 20 novembre tramite Aesthetic Death in CD ed attraverso Tartarus Records in formato tape e digital.
La band olandese trae enorme giovamento dalla rettifica delle proprie cifre stilistiche operata in Monad, ovvero un album che si esprime in maniera tanto singolare quanto ispirata, sicuramente anche grazie a delle soluzioni creative originali, realizzabili anche grazie all’organico atipico della band, che ha rimaneggiato a modo proprio la classica formazione power-trio. L’espressione peculiare della band olandese però non è imputabile unicamente a gli strumenti coinvolti (nonostante oggigiorno sia sempre più comune l’allontanamento dalla forma band canonica), piuttosto sono da tenere in considerazione della esigenze artistiche autentiche e quantomai tangibili, che qui si configurano nello stile di un personalissimo post-doom/noise metal, che sin dalle prime battute della traccia d’apertura “Phanes” si espone in un ipnosi tipica del genere, che qui però assume dei connotati quantomai asfissianti, con degli ostinati che vogliono essere un mantra del sopracitato eterno ritorno e di una prigionia dell’esistenza. A sottolinearlo presto sono il secondo elemento cronologicamente presente nella prima traccia, ovvero delle vocals che riportano (in una rivisitazione personale) allo screech scream di Chip King dei The Body, ma che attingono a piene mani soprattutto dalla lezione degli Amenra e da alcuni frangenti dei Cult of Luna, nonché dal resto del post-metal per antonomasia, specialmente quello più disperato. Le vocals dunque qui sanno concettualmente di liberazione, ma anche di condanna, cariche di un angst disilluso – sono l’urlo dell’essere umano che si destruttura, affidando quello che era il ruolo della parola concreta al verso primordiale, inserendosi dunque nello strumentale con una carica emotiva imprescindibile, che un assoluto testamento di dolore come Monad dovrebbe avere, ed infatti ha per tutti i circa 52 minuti di playing. Tale percorso è si di abbondante minutaggio, ma non per questo risulta prolisso, mantenendo l’ascolto in perfetto equilibrio tra attenzione ai dettagli e trance rituale: da una parte delle soluzioni (specialmente vocali) che lasciano in una sincope (e che quindi alimentano la voracità dell’ascoltatore), dall’altra le dilatazioni e gli ostinati tipici del doom metal, che si rispecchiano anche nei tempi dei singoli brani, i quali vanno dai 12 ai 14 minuti cadauno. In queste quattro tracce si dispiega abbondantemente la proposta dei Farer, che dialoga tramite texture costituite da riff punitivi e granitici, che non vedono la mancanza di una chitarra come un deficit, bensì se ne avvantaggiano in termini di espressione, ma che anche interagiscono con il resto della composizione attraverso il dettaglio sonico, sia apportato da una scelta dei suoni ben ragionata per bassi, batteria e vocals, sia da una prominente componente noise, ora rarefatta in stringhe di droning, ora assemblata in particelle granulari che stratificano layer su layer di dettagli e minuziosità che vanno scoperte tramite ripetuti ascolti. Tali sonorità risultano ancora più particolari se le si pensano come coesistenti con il riffing impietoso e dissonante ripreso dallo stile di colossi statunitensi come Bible Black Tyrant o Aseethe, o Primitive Man e Brainoil dal versante più sludge metal. Monad è un intruglio caustico di quanto sopracitato, che ora annichilisce seduta stante, anche per merito di un drumming rituale e minimale ma poliedrico, che riesce sempre a rimarcare efficacemente quanto espresso dal resto degli elementi, ora leva il terreno da sotto i piedi dell’ascoltatore, lasciandolo in balia di una caduta libera nel vuoto esistenziale che il disco riporta 1:1. Il songwriting è tanto finemente composto quanto autenticamente orchestrato, rendendo singolari i quattro brani, che si dispiegano in ampie sezioni, in cui mid-tempo rabbiosi e travolgenti si dissolvono in abissi dai movimenti catatonici (e viceversa). Le suggestioni qui espresse si inchiodano nella testa dell’ascoltatore, il quale, spesso durante l’ascolto, viene indotto ad un ipnosi rituale, dove tempo e spazio perdono di significato.
Il comparto tecnico è d’altissimo livello, poiché nel suo minimalismo Monad pretende un sound engineering minuzioso, che viene adoperato dal tracking e mixing di JB van der Wal e dal mastering di James Plotkin, rendendo ogni elemento in gioco intelligibile, incisivo e presente proprio come merita un disco di tale spessore artistico.
Non è sicuramente un opus dall’ascolto casual Monad, ma tantomeno vuole esserlo: il debutto/riforma dei Farer vuole ritagliarsi il suo tempo, in controtendenza a qualsiasi abitudine moderna, ed anche per questo il suddetto disco merita un alto livello d’attenzione ed un interiorizzazione lunga e profonda, ma infine appagante. Alla fine delle quattro tracce post-doom/noise proposte dal trio olandese, si ha la sensazione di riprendere fiato dopo una lunga apnea, che però non ha generato alcuno affanno, anzi ha lenito quello stesso dell’esistenza, proprio grazie ai magistralmente ben realizzati contrasti ed attriti presenti durante tutto l’ascolto, che si presentano tra le caratteristiche di più alta espressione artistica di un full length significativo e singolare. I Farer mettono insieme un disco che fa sudare freddo con un carico ingente di spleen e brividi lungo la schiena, generati anche grazie a degli stilemi che non temono la sperimentazione e che quindi valicano efficacemente i confini dei sottogeneri musicali, in favore di un espressione quantomai autentica ed apprezzabilmente d’alto livello.
(Aesthetic Death, Tartarus Records, 2020)
1. Phanes
2. Asulon
3. Moros
4. Elpis