(Autoproduzione, 2013)
1. Bars
2. Technocluture
3. Mission of War
4. Pavlov’s Dogs
Meglio tardi che mai. Confesso d’avere scoperto da pochissimo – considerando che l’EP in questione è uscito nell’ultimo periodo dell’oramai trascorso 2013 – questo quartetto milanese e di non saperne nulla in merito: d’altronde, diranno in molti, è normale avere lacune sull’underground, soprattutto quando la scena sempre più tende a overtrofizzarsi e a sovrappopolarsi. Cercando, però, qualche news on line sui Nostri, scopro che nel gruppo, che alle spalle ha già un tour fra Italia, Spagna e Francia, militano ex-membri degli RFT, una band storica di quella MIxHC che, ai tempi, aveva partorito Sottopressione e Ruggine, ergo i miei sensi di nerd musicale hanno iniziato a pizzicare con discreta insistenza.
Basta, infatti, un EP di quattro pezzi sui due minuti l’uno per i Feed Me More per dispensare qualche ceffone qua e là alla nutrita scena estrema locale di casa nostra: forse non la band “della vita”, ma con tanta grinta e, soprattutto, con una forte ricerca di personalità. Ad un impianto decisamente –core oriented, i nostri aggiungono trame fatte di ritmiche sostenute, distorsioni zozze ma precise, stop&go’s tattici (in cui la tradizione di hc nostrano la fa da padrone), ma anche tempi storti e soluzioni melodiche particolari (penso a “Mission of War”, la canzone più studiata del lotto, in cui c’ho sentito pure i Cibo di Ignorante; ma anche il riffone dal sapore stoner di “Pavlov’s Dogs”; infine al lentone fra Isis e certi Faith No More in apertura di “Technocluture”), che possono pescare dal noise/post-rock (si possono suonare Cherubs e Jesus Lizard in salsa grind? Ascoltare l’opener “Bars” per credere!), come dall’hardcore più evoluto di gente come Botch e Breach. Soluzioni d’impatto, forse semplici, ma per nulla semplicistiche, ben studiate ed arrangiate: la sonorità dei Feed Me More è, infatti, a metà strada, in un tentennante, ma comunque efficace, equilibrio fra certo grind ‘new school’ e il post-hardcore dei primi anni Zero, scevro d’ogni fighetteria. Ed è proprio questa la carta vincente del combo milanese, del quale, a questo punto, non resta che attendere un’uscita sulla lunga distanza per lanciarsi su giudizi più sicuri.
Per concludere, un super-pollicione su per Marty, LA ‘cantantessa’ della band: uno dei miei (pochi) punti d’orgoglio di recensore della mutua è sempre stato il sapere riconoscere, dalla timbrica, quando è una donna a urlare o a fare un growl – azzeccandoci sempre. Bene: costei deve essere l’eccezione che conferma la regola e, al di là di questioni d’orgoglio personale, non posso che farle il mio plauso, visto che m’è sembrata fin più convincente nelle timbriche di growl più basso che negli scream più sgraziati di scuola ultracore, per una miscela vocale che ben s’accompagna alla musica dei suoi tre compagni di band.
7.0