Con i loro primi due album, senza dimenticare lo split coi connazionali Turia, i Fluisteraars ci avevano abituati a un black metal freddo e rigoroso, dalle atmosfere decadenti che catturavano l’attenzione dell’ascoltatore, quasi ipnotizzandolo. Con Bloem tornano a farsi sentire, e fin da subito si sente l’odore di novità nell’aria. Basta osservare l’artwork; nei precedenti lavori le copertine hanno sempre generato sensazioni concordi con quelle fatte provare dalla parte musicale, ma in questo caso si nota subito una differenza. Precisiamo subito che i fiori e lo scenario pieno di luce che ci presentano il lavoro, ovviamente, celano un ragionamento, non rappresentando una scelta fine a sé stessa. La loro presenza viene vista come un simbolo del dualismo che nascondono, in quanto si possono immaginare sia come modo per simboleggiare la nascita, la rigenerazione, ma anche il decadimento. La decisione di utilizzare questa copertina preannuncia un’evoluzione del sound per i Nostri, che si discostano parzialmente da quanto proposto negli anni passati per lasciare più spazio a elementi melodici e attimi velatamente folk, mantenendo comunque alta la qualità e non stravolgendo le carte in tavola.
La partenza decisa non evidenzia fin da subito questo cambiamento: l’opener “Tere Muur” ricorda le prime produzioni con il suo attitudine schietta, ma con la seguente “Nasleep” si comincia a percepire la trasformazione della formazione olandese. Dopo una partenza che non contiene modifiche rispetto al precedenze pezzo, si fanno spazio dei settori dal chiaro stampo melodico. Il brano contiene comunque le caratteristiche della band, con pochi riff ma efficaci spalmati all’interno della composizione, e le varie alterazioni dell’atmosfera risultano decisamente funzionali.
L’ascolto continua con “Eeuwige ram”, la canzone più atipica del lavoro. Ci si mette comunque poco a immedesimarsi in queste nuove caratteristiche presentate dai tre musicisti, accogliendo con curiosità il passaggio dalle atmosfere glaciali a quelle più malinconiche.
Le ultime due tracce, “Vlek” e “Maanruïne”, si possono definire riassuntive. La prima lascia ampio spazio alla melodia, in contrasto con i ritmi serrati presenti inizialmente, e si può notare anche una fugace apparizione di strumenti ad arco nella ripetizione persistente dell’ultimo giro. Nella seconda cambia la struttura ma non la sostanza, concludendo così un disco breve e d’impatto.
Per quanto possa trattarsi di un lavoro che mai avremmo associato ai Fluisteraars fino a poco tempo fa, Bloem mostra una nuova identità del gruppo che rende onore al passato e continua a mettere in mostra le loro capacità compositive, qui ancora più arricchite da vari elementi. Non si tratta di un cambio di rotta forzato o anonimo, ma di un’evoluzione naturale e genuina che si fa decisamente apprezzare.
(Eisenwald, 2020)
1. Tere Muur
2. Nasleep
3. Eeuwige ram
4. Vlek
5. Maanruïne