Quanto mi erano mancati i Glories. Sono passati quattro anni da Distant After, uno dei miei personalissimi dischi “rifugio” del genere. Uscito durante la pandemia, è uno degli album di post-rock strumentale che ho ascoltato di più negli anni, salito tantissimo nella mia classifica personale delle opere in grado di mettere in pausa qualunque tipo di pensiero, circondarti con un caldo abbraccio e donarti lo spazio mentale per riflettere, con i propri tempi e con la contemplazione necessaria. È un lavoro che traeva la sua ispirazione principale da una triste parentesi: era dedicato a Zach Cooner, chitarrista fondatore della band, scomparso nel 2017. Gli altri membri si sono fatti forza, reinventandosi come band di tre elementi. Questo processo catartico traspariva in modo delicato nelle tracce di Distant After, dove tutti i brani erano circondati da un rispettoso velo di sacralità. La ricerca della serenità attraverso il suono prosegue con l’agognato nuovo disco, An Expanse of Color. Il titolo è emblematico: mentre la copertina di Distant After raffigurava un albero solitario immerso in sfumature di un timido verde, An Expanse of Color si apre a una gamma cromatica più luminosa e vivace. Questo simbolismo sinestetico riflette, a mio parere, la rinnovata sicurezza della band; fin dal primo ascolto, questo album si rivela ancora più raffinato e affascinante del precedente. La band ha ritrovato la sua strada e si sente: il disco offre sei meravigliosi brani per 45 minuti di estasi, escapismo e un ventaglio molto eterogeneo di emozioni. A mio parere, i tre post-rockers di Birmingham hanno dalla loro il grande pregio di avere una fortissima personalità nel vasto panorama di band che fanno post-rock. Certo, rispettano tutte le convenzioni a cui ci ha abituato il genere negli anni, per cui un fan troverà di che godere senza essere spiazzato in alcun modo: riverberi, chitarre acute in tremolo, sezioni ambient e grandi marce che mantengono saldo il suono. Ma, per fare un esempio, io ho una gigantesca playlist di brani post-rock che ho raccolto negli anni e, se la ascolto senza guardare chi suona, riconosco immediatamente un brano dei Glories. E qui c’è tutto quello che chi ha apprezzato il gruppo di Birmingham desidera: i pezzi sono calmi, per lo più introspettivi, con riff e fraseggi che comunicano tra loro evocando paesaggi sonori ricchi di melodie evocative. Ma calma non significa debolezza: la calma dei Glories è nell’approccio sereno alla musica, anche quando tratteggia scenari tristi o inclini a una maggiore vulnerabilità, che è alla base di qualsiasi opera d’arte che si rispetti.
E dunque ci si trova dinanzi a pezzi bellissimi: l’apertura delicata di “Moon Glyph” pennella una serenità solare e distesa, contaminata da gioia, adrenalina e ottimismo, per poi traghettare fluidamente l’atmosfera in una sezione notturna e sacrale. Sembra quasi di osservare la delicatezza di un’alba, con l’intensificarsi di una luce inizialmente tenue e poi sempre più luminosa, per poi abbracciare di nuovo l’inevitabile arrivo della notte e dei suoi misteri. La dolcezza della chitarra e la sospensione dei pad ambient descrivono bagliori lontani e sfumature di viola mischiate al blu: c’è un vento silenzioso che sposta le foglie, c’è quella malinconia che non ti spezza ma ti abbraccia senza sfiorarti. C’è la sensazione di quando ci si abitua a vedere al buio, circondati da suoni attenuati e da un flebile raggio lunare, i cui barlumi di argento accarezzano la natura circostante con un fascino irresistibile e magnetico. “Chosen Forms”, il primo singolo rilasciato, è un delicato brano in cui le chitarre si ergono dolcemente sopra effetti sintetici che fluttuano gentili nello spazio, accarezzando lo scambio di note tra le chitarre pulite. C’è un senso di conclusione nei giri scintillanti di chitarra che traghettano al finale più elettrico, in cui il titolo del pezzo acquisisce un nuovo significato: dal bozzolo iniziale è infine stata scelta una forma definitiva. Forza e identità caratterizzano la conclusione luminosa, per un pezzo che a tutti gli effetti descrive un’evoluzione che pare compiersi nel riff principale che sale di ottave e diventa più acuto, mentre la chitarra ritmica mantiene salda la progressione e la batteria sorregge tutto con solennità e compostezza. Nell’ovattata introduzione della successiva “Our Shimmering Hearts” si respirano i profumi e gli scenari dell’Islanda dei Sigur Rós di Ágætis byrjun. La cassa riverberata assomiglia al battito di un cuore: i riff lontani di chitarra qui pennellano dilatazioni ambient che sembrano farsi largo dolcemente nella natura surreale di una vallata, evocando un paesaggio onirico. Siamo in pieno territorio Glories quando la serenità delle chitarre pulite lascia spazio alle distorsioni, alle note alte e alle variazioni nel pattern di batteria; è come se gli strumenti descrivessero il sopraggiungere di un’emozione improvvisa. Trovo molto simbolico il fatto che si trattasse di un istante, perché al culmine dell’eccitazione il suono ritorna allo scarno e meraviglioso minimalismo di un fraseggio nostalgico di tipico post-rock, con la marcia di una batteria che giunge da lontano, colorando tutto di dolce malinconia. Non riesco a identificare l’emozione che mi suscitano queste due chitarre: può la malinconia trasmettere un senso di realizzazione gioioso? Per quanto assomigli a un ossimoro, è esattamente ciò che accade qui. Ed è bellissimo. Poi c’è “Totem”, che si apre con suoni elettronici frammentati e un fraseggio in doppia ottava delle due chitarre, preparando il terreno per un bellissimo riff in palm muting e delay, affiancato da un altro più acuto. La sezione centrale richiama le atmosfere posate di Distant After, ma con toni più colorati e positivi; seppure con uno strato di malinconia, nel cuore di questo brano c’è anche quella forza che non si è sicuri di possedere. Alla fine si respira luce tanto nelle chitarre sature quanto nel tremolo, e personalmente potrei ascoltare il fraseggio di chitarra sulla destra per ore senza stancarmi. “Sad as the Fog” è uno dei brani più nostalgici, ed evoca la sensazione di smarrimento tipica di quando si riflette su ricordi particolarmente lontani. La batteria sintetica scandisce il tempo, mentre note scintillanti di chitarra delineano un paesaggio malinconico immerso nella nebbia. Anche i synth contribuiscono a dipingere una foschia delicata che sfiora l’evanescenza dei ricordi, rendendoli più sfumati ma al contempo più splendenti quando vengono raggiunti dalla luce, creando silhouette surreali e barlumi di chiarezza. Le note assomigliano al sussurro del vento, che porta con sé echi di storie dimenticate: la melodia si insinua tra le pieghe del tempo, risvegliando emozioni sopite e dipingendo immagini di un mondo sospeso tra realtà e sogno. È uno degli episodi più commoventi del disco, piazzato in una posizione perfetta nella scaletta, perché il brano successivo, “No Sky Can Blind You Now,” conclude l’album con un’esplosione sonora che è il culmine emotivo di tutto il lavoro. L’inizio trionfale evolve in una sezione meravigliosa, ampia e riverberata, e le chitarre tratteggiano una serenità vastissima, esprimendo anche malinconia, soprattutto quando ne resta una sola a tessere note minimali. La musica trasporta in boschi silenziosi, mentre i fraseggi ricchi di profonda emotività si intensificano nella dirompente sezione finale. Anche qui si fa fatica a non commuoversi, perché è come se l’anima protagonista del pezzo non potesse più essere accecata dal cielo, semplicemente perché ora è parte di esso. Le chitarre descrivono un senso di liberazione profonda quasi gioioso, in cui la malinconia di fondo delle armonie non rende tristi, piuttosto solleva lo spirito.
In questo lavoro non si troveranno sperimentazioni, né idee rivoluzionarie. Ma si troverà un elemento che, secondo me, li supera in importanza: si trova sentimento, autenticità, oltre a un’innegabile capacità di costruire spazi sonori in cui lasciarsi avvolgere dalla potente evocatività di brani dolci e al contempo grintosi; malinconici, e al contempo pieni di sfumature serene. Una cosa è certa: non c’è posto per l’aridità sentimentale quando questi tre musicisti di Birmingham mettono la loro sensibilità in musica, trasmettendo emozioni profonde con una sincerità disarmante.
(Post. Recordings, 2024)
1. Moon Glyph
2. Chosen Forms
3. Our Shimmering Hearts
4. Totem
5. Sad as the Fog
6. No Sky Can Blind You Now