I Godflesh di Post Self trascinano l’ascoltatore in un mondo gelido e sinistro fatto da riff distorti e ferrosi che si alternano a frequenze molto basse, campionatori e synth.
I brani con il loro incedere pachidermico e roboante, trasmettono musica deviata e ossessiva che si incastra perfettamente con la voce di Justin Broadrick: decadente e grigia nelle parti meno cattive, gutturale e maligna nelle altre. Il nostro triste e inevitabile destino è reso ancor più pessimo dall’enorme basso pulsante, plumbeo e intermittente e dalla macchinosa drum machine a effetto catena di montaggio. Tutto crea un minimale, dissonante e ossessivo, suono post-punk, industrial/elettrometal e dark, che in dei momenti striscia a terra come una creatura viscida, poi si innalza per ingoiare questa patetica umanità. Nessuna citazione in merito a brani particolari a parte l’apocalittica e triste “The Cyclic End” perché qui tutto è eseguito al meglio e tutto trasmette in egual modo ansia, paura e depressione, nella testa del povero ascoltatore. Post Self è un album nero dentro, che ci proietta addosso atmosfere alla Dead Can Dance, soluzioni alla Jesu, un grosso malessere di casa Fethis69 e per finire ci fa infilare in ambienti tenebrosi di casa Joy Division.
La fabbrica Godflesh dal 1988 ad oggi continua a fumare ed emanare carcinomi sotto forma di musica. Con questo ottavo lavoro il duo si riconferma una tra le band più innovative e seminali che ci sia sulla faccia di questa terra. Grazie per essere ritornati con un album che sembra essere uscito negli anni ‘90, e soprattutto grazie per avere gettato piombo e amianto dal cielo sopra a questo perbenista mondo di merda.
(Avalanche Records 2017)
1. Post Self2. No Body3. Parasite4. Mirror Of Finite Light5. Be God6. The Cyclic End7. Pre Self8. Mortality Sorrow9. In Your Shadow10. The Infinite End