Il Venezia Hardcore 2025 è da poco iniziato, si fanno i primi saluti e si riguarda un’ultima volta il programma della giornata, con un nome su tutti che cade sempre all’occhio, quello dei La Quiete, pezzo di storia indiscussa della scena screamo italiana, che con quel La fine non è la fine nel 2004 ha scritto il proprio nome negli annali. Proprio con i romagnoli, prima che inizi la spola tra i due palchi del festival, riusciamo a scambiare due parole, e tra il loro recente ritorno sui palchi e il loro passato sicuramente non mancano gli argomenti di cui parlare. Un ringraziamento alla band e allo studio RecOut per la disponibilità degli spazi per la realizzazione dell’intervista. Buona lettura!

Foto: Carmelo Cicala
Ciao ragazzi, grazie per la disponibilità! Siete da poco tornati a suonare, avete già fatto qualche concerto per cui l’emozione di tornare sul palco l’avete provata nuovamente. Innanzitutto com’è stato? Che emozioni ci sono state e come lo immaginavate questo ritorno?
Rocco (chitarra): è stata un’emozione al di là delle nostre aspettative che sicuramente abbiamo atteso a lungo nei mesi precedenti alle date. C’è stata una fortissima dose di entusiasmo, che ha trovato una liberazione in questo incontro con un pubblico nuovo; nuovo sia da un punto di vista quantitativo, ma anche per l’umanità che lo caratterizza, ci sono persone diverse ed è una cosa che ci è piaciuto riscontrare. Abbiamo avuto l’impressione di trovarci davanti persone provenienti da diversi mondi, non solo anagrafici ma anche musicali o culturali, e penso che per ogni artista sia la cosa più gratificante. Per me è stata un’emozione tanto forte quanto naturale, in qualche modo assorbita dall’energia che abbiamo sempre covato noi come gruppo, comunque è una bolla musicale in cui tutti abbiamo trovato la nostra comfort zone, mi sembrava quasi di stare in sala prove, poi guardavi un metro di là e c’era un bel macello.
Questi primi quattro giorni di concerti sono stati meravigliosi e avevamo già in testa il Venezia Hardcore, quindi eravamo felici al pensiero di poter continuare.
Proprio parlando del festival: due anni fa proprio qua c’è stato il ritorno dei Raein, considerando il legame che c’è sempre stato tra i progetti, in quel periodo c’era già l’intenzione di fare qualcosa con i La Quiete o sono cose sconnesse tra di loro?
Michele (batteria): No assolutamente, io pensavo non sarebbe mai riaccaduto con i La Quiete, mi sembrava più complicato per questioni logistiche piuttosto che tecniche. è stata un po’ una sorpresa, ed è molto bello, perchè quando le cose sono inaspettate ti stupisci anche tu.
Angelo (basso): Io invece ho rotto così tanto negli anni per far sì che succedesse, che sono arrivato stanco (risate)
E invece queste date con i Pageninetynine? Sono state una sorta di coincidenza o fin da subito sapevate che sareste tornati in quest’occasione?
Michele: Per quanto mi riguarda, è stato il motivo per cui abbiamo ripreso a suonare, credo che ci mancasse un trigger, una scusa per far sì che succedesse.
Angelo: Però non è che siamo tornati a provare sapendo questo: diciamo che ci siamo dati una deadline di conseguenza. Stavamo già provando, e la situazione ideale è stata “arrivano i Pageninetynine e vogliono suonare con noi”. È stato perfetto e meno male che è andata così.
Michele: Infatti è stata una delle cose più belle che abbiamo fatto non di recente, ma proprio come gruppo. In pochissimo si è creato un rapporto tra di noi che a livello di empatia ed emozioni mi ha fatto tornare a quando avevo vent’anni, si parlava di tutto ed è stato proprio bello, siamo usciti da quelle due date che ci siamo sentiti amici con loro.
Angelo: La cosa magica è che in passato succedeva sempre, andavi in tour con qualcuno e ci diventavi amico, c’era più tempo forse, era più lungo ed elastico il modo di andare in tour. Adesso erano poche date, e all’inizio io non sono arrivato con l’idea di fare nuovi amici, tant’è che ci siamo un po’ annusati, senza nemmeno parlare, poi è successo tutto in modo organico, abbiamo iniziato parlando di minchiate e a fine tour già avevamo voglia di rifarlo insieme. Per me è stata una grande sorpresa.
Michele: Stiamo continuando a sentirci e sono delle persone veramente belle, mi hanno colpito tanto.
Angelo: Crescendo diventi un po’ cinico in questo tipo di rapporti, almeno a me è successo così. Io già ai tempi quando suonavamo, verso la fine di questi tour, riconoscevo dei pattern comportamentali nello stare insieme con gli altri che mi annoiavano un po’ devo dire, per cui non mi aspettavo di fare degli amici e di sentirmi veramente connesso, invece è successo.
Quindi immagino che questa sensazione dia buone speranze per il futuro, per quanto credo stiate prendendo le cose con molta calma e senza particolari piani.
Michele: Certo, questa è stata proprio una botta di vita.
Ma poi, siete finiti al Live Club di Trezzo sull’Adda, il posto meno punk immaginabile…
(risate)
Michele: Personalmente, in generale quello meno punk in cui sono stato io come essere umano.
Rocco: Quando siamo arrivati in questo locale grandissimo a Trezzo, avevamo un pomeriggio intero da passare lì, ad ammazzare il tempo, e ci siamo trovati a pascolare lì dentro cercando di immaginare come sarebbe potuto essere un nostro concerto lì. Eravamo insieme agli statunitensi, e proprio in quella giornata ci siamo lasciati andare ai massimi sistemi, discorsi emotivi al tramonto…. Poi durante il concerto secondo me eravamo molto rapiti vicendevolmente dalla nostra musica. C’è stato un momento in cui Michele ha suonato la batteria con loro, io ero dietro a filmare questa cosa e non ci stavo capendo più niente, mi chiedevo cosa stesse succedendo. Lo diciamo con l’umiltà del caso, siamo stati innanzitutto dei fan, e in quanto tali è stato bellissimo.
Adesso siete arrivati qui, dopo un percorso in cui l’idea di un concerto screamo in un contesto del genere non era nemmeno immaginabile. Immagino comunque che l’intensità del concerto, che sia al Live Club o che sia in un salotto di una casa in Australia o chissà dove, sia sempre sentita. Volete raccontare qualche ricordo o esperienza tremendamente punk e DIY che vi è rimasta impressa?
Michele: Ce l’ho. Concerto a Leeds, suoniamo in questa casa durante un tour con i Catena Collapse, con cui abbiamo fatto un 7”. Il live viene interrotto perché mentre suonavamo nel salotto il pavimento stava collassando, si era piegato tutto. Mancavano due pezzi alla fine ma chiaramente ci siamo fermati e usciti tutti con la casa pericolante.
Angelo: La stessa stanza in cui avremmo dovuto dormire….
Michele: Io mi ricordo un’altra cosa bellissima: la batteria era in un angolo, c’era un sacco di gente ovunque che si muoveva e spingeva, a un certo punto mi sono voltato verso Angelo, Rocco e Fabio, tutti e tre con le mani appoggiate al muro, in quel momento l’unico che stava suonando ero io, loro erano troppo intenti a cercare di sopravvivere.
Ma poi immagino che in quella casa qualcuno ci abitasse…
Michele: Sì certo, dei ragazzi giovanissimi che studiavano ed erano lì in affitto. Diciamo che erano un po’ preoccupati all’idea di chiamare il proprietario.
Angelo: Poi ci sono anche stati diversi concerti in America nei sottoscala, dove prendevi la scossa ovunque, tutti molto sudati… veramente impegnativi.
Rocco: Forse è ancora adesso quella la situazione in cui ci troviamo meglio. Anche se capita di suonare in contesti più organizzati, il poter suonare in un contesto così intimo è ancora oggi un privilegio. Sembra una banalità, ma in questo genere il contatto umano è fondamentale, quel tipo di scambio energetico tra persone fisiche è quello che dà qualcosa in più.
E parlando di contatti umani, tornando al legame con i Raein e in generale con la scena romagnola. Negli anni dei vostri inizi quanto sono cresciuti insieme i vari progetti in cui eravate coinvolti?
Michele: è sempre stato tutto molto parallelo, anche perché suonavamo negli stessi contesti, avevamo gli stessi amici ed eravamo amici tra di noi. Tantissime volte è successo di suonare assieme, io direi che è stato proprio un binario.
Quindi anche i primi passi di Raein e La Quiete si possono contestualizzare insieme? Ispirati magari dagli stessi gruppi che stavano venendo fuori in quegli anni, come Orchid, Saetia…
Michele: Quando ho iniziato a suonare la batteria ho iniziato a fare questi gruppi. Non sapevo suonare la batteria, però volevo fare qualcosa con queste persone. Io ho iniziato a suonare la batteria grazie agli Orchid, dopo aver sentito Chaos is Me.
E voi (Rocco e Angelo), era un genere che già conoscevate o vi ha coinvolto totalmente Michele?
Rocco: Con Michele ci siamo conosciuti anche scambiando cassette per posta. Nella fase adolescenziale più nerd ci mandavamo davvero tanti dischi di questo genere, e sicuramente quello ci ha sconvolto musicalmente. Stessa cosa per quanto riguarda i Portraits of Past.
Michele: Secondo me l’abbiamo comprato (Chaos is Me) la stessa sera alla Scintilla, al concerto dei Milemarker, senza sapere che cosa fosse.
Rocco: Ci sono stati degli allineamenti felici, delle sincronicità particolari. Poi per esempio con Angelo ho condiviso esperienze musicali dell’hardcore punk in Puglia, è stato poi molto naturale, visto che entrambi siamo andati a studiare in zona Bologna / Forlì, aver condiviso molti concerti tra amici, e da lì ci siamo ritrovati insieme a suonare. Angelo è venuto con noi in tour la prima volta da fotografo e amico. Io sapevo che quando gli avrei fatto questa domanda avrebbe detto di sì, proprio chiedergli “guarda, noi tra due giorni andiamo in tour, vuoi venire con noi?” ed ero certo che avrebbe detto di sì.
Michele: Poi, poco dopo la fine di quel tour, il nostro bassista dell’epoca lasciò la band, e visto quello che si era creato abbiamo pensato di chiedere ad Angelo.
Angelo: La cosa particolare è che non sapevo suonare e in generale non sono molto legato alla musica come lo sono loro. Io con questo genere facevo fatica, non sapevo nemmeno come funzionasse, mi sono avvicinato con i La Quiete e per lungo tempo sono stato l’unico gruppo che ho ascoltato. Io ascoltavo punk/hardcore tradizionale, quindi non mi sono avvicinato a livello musicale bensì a livello personale.
Rocco: Però col tempo, facendo musica insieme, e non lo dico con presunzione ma semplicemente per avere uno spirito molto trasparente, penso che le etichette musicali siano venute meno. Tutt’ora nel confrontarci con quel che accade in sala prove, ma anche guardando gli altri gruppi, non abbiamo come un tempo la necessità di categorizzare le cose. Anche nella nostra musica, a un certo punto vengono meno gli stereotipi musicali e viene più l’istinto di come ci veniva di fare le cose. Col tempo siamo diventati più personali, quindi tutto questo ci riflette sia come ascoltatori che come compagni di gruppo.
Chiudo con una domanda particolare, qualcosa a cui potreste avere pensato così come no, ma secondo voi se voi foste ora dei ventenni, considerando quanto è cambiata l’industria musicale e le modalità per scoprire nuova musica, che gruppi, magari anche storici, e che generi catturerebbero la vostra attenzione?
Michele: Sai, gli ascolti di quegli anni lì si infilano così tanto nel cervello e nel cuore che è difficile pensare ad altro. Io ti continuerei a dire gli stessi gruppi di quando effettivamente avevo vent’anni. Chiaramente con un orecchio diverso, e adesso ci sono gruppi screamo contemporanei che ritengo validissimi, mi colpiscono molto e mi dico che sarei andato completamente fuori di testa se li avessi conosciuti quando ero giovane.
Angelo: Il livello è aumentato tantissimo, la qualità e la preparazione media dei gruppi che suonano, quindi la stessa cosa trasposta vent’anni prima avrebbe portato a uno shock. La cosa bella è quella: lo shock della prima volta, del primo ascolto, e mi chiedo cosa mi avrebbe potuto generare un impatto simile.
Michele: Ricordo che quando vedevi certi live, la domanda più incredibile era “Ma che cazzo sta succedendo su quel palco?”.
Angelo: Secondo me, volendo trasportare nel livello sociologico, adesso farei fatica io a orientarmi su un genere, anche perchè non è più come prima, quando era a compartimenti stagni. Volendo cercare lo stesso tipo di espressività violenta o rabbiosa, forse sarei andato a finire da un’altra parte, sicuramente non ascolterei punk, piuttosto l’elettronica, alcuni generi nuovi, strambi, dove non si capisce molto, in questi angoli strani ci sarei finito.
Michele: A te piace la trap… (risate)
Angelo: Avrei potuto tranquillamente inciampare nella trap, volendo. Ai tempi mi interessavo pure del fatto politico e antagonista, ora è venuto a mancare pure quello, quindi a maggior ragione non credo avrei sbattuto la testa nel punk, che lo vedo per fortuna meno coeso, coerente e tutto uguale, ma allo stesso tempo meno denso di contenuto, quindi avrei cercato altre soluzioni.
Immagino che dopo aver riprovato le emozioni del palco e aver avuto questo ottimo riscontro dall’esperienza, siate ancora più carichi per il concerto di stasera.
Angelo: Assolutamente! E stasera inedita formazione a sei. O almeno, a sei ci abbiamo già suonato con due cantanti, ma stasera suoneremo con tre chitarre, con anche Andrea, che da un certo punto in poi prese il posto di Rocco.
Grazie per questa chiacchierata, buon concerto per dopo!
Grazie a te!