Tra tutte le band che hanno suonato all’ultima edizione del Venezia Hardcore c’è stata una commistione niente male tra formazioni giovani e altre ben più esperte che si possono definire un pezzo di storia di certe sonorità. Proprio tra questi gruppi seminali ci sono i Raein, punto di riferimento dello screamo italiano. In un contesto unico, per la cornice stupenda del festival, ma anche perché è stato il loro primo concerto dopo una pausa di sette anni, abbiamo avuto la possibilità di fare una chiacchierata con la band, più nello specifico con il cantante Andrea Console, il chitarrista Alessio Valmori e il batterista Michele Camorani. Buona lettura!
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Foto di Hélio Gomes (Instagram: @ehliogomme)
Innanzitutto grazie per la disponibilità e benvenuti sulle pagine di Grind on the Road. Oggi è un’occasione a dir poco speciale, dato che farete il vostro primo concerto dopo sette anni. Per rompere il ghiaccio, come vi sentite, come avete preparato il concerto e com’è venuta l’idea di tornare a suonare?
Andrea: Ti dobbiamo dire un po’ di cose diverse, ovviamente. Da quando abbiamo smesso di suonare per tanti eventi concatenati ormai ci eravamo considerati sciolti. Negli ultimi tre anni Samall e i ragazzi del Venezia Hardcore hanno chiesto a Michele la possibilità di venire a suonare, e quest’anno tutte le situazioni complicate sembravano meno complicate del solito. Subito abbiamo detto “va bene, andiamo”, e abbiamo dato l’okay prima ancora di iniziare a fare delle prove e di vedere se effettivamente riuscivamo a risuonare i pezzi, quindi con una forte carica di fondo. Chiaramente, se ti devo dire come stiamo oggi, sapete benissimo da dove siamo e la situazione è un po’ paradossale, perché fino a questa mattina ci ponevamo questioni su quello che sta succedendo a Forlì e in generale in Romagna. Noi personalmente in questi giorni ci siamo dati da fare per la causa e ci sembrava giusto essere qui per le persone che ci sono e poi riattivarci per la nostra zona. A livello di umore ci sono delle cose contrastanti, c’è una grande difficoltà a essere sereni ma c’è anche una grande carica e voglia di essere qui. C’è anche un po’ di entusiasmo e di attesa per cosa vuol dire ritornare sul palco dopo tanto che insieme non lo stiamo facendo.
Michele: Io oggi ero già emozionato a fare il soundcheck. Non so dopo cosa può succedere.
Andrea: Esatto, queste cose qui, che non eravamo abituati a provarle come sensazioni ed è molto bello risentirle.
Com’è stato riprendere in mano gli strumenti e tornare a vedere i pezzi dopo tutto questo tempo?
Andrea: Io non dico niente perché su questo sono facilitato, lascio a chi ha strumenti.
Alessio: Mi associo a quello che diceva prima Andrea. Da quando abbiamo smesso di suonare io non ho toccato la chitarra, e chiaramente all’inizio c’era un attimo di trepidazione pensando di dover reimparare tutto. Poi in realtà è stato una bomba ritrovarsi e avere l’occasione per riscoprire più o meno il modo in cui i Raein hanno sempre funzionato. Siamo amici da una vita ed è stata anche un’occasione per passare del tempo assieme.
Voi farete un concerto dedicato principalmente a Il n’y a pas d’orchestre, vostro secondo album. Avete dei ricordi o qualcosa in particolare legati a quel disco? Come mai avete scelto proprio quello?
Michele: Quello è stato il disco che ci ha fatto uscire dall’Italia e il primo disco che abbiamo portato in tour. In quegli anni lì eravamo giovani, suonavamo tanto e dobbiamo molto a quel lavoro. Casualmente sono proprio vent’anni dall’uscita ma è anche un porto sicuro quello, perché rispetto a ciò che abbiamo scritto dopo è un album estremamente diretto e semplice. Un po’ per la questione del ventennale, un po’ per una titubanza di riprendere, mia in particolare in quanto batterista, ma anche per lo sforzo mnemonico loro per quanto riguarda le chitarre e il basso, quello era un porto sicuro da cui partire. Allo stesso tempo ci siamo molto legati, pure se non ti direi che oggi ci rappresenta, e infatti suoneremo anche altro, anche perché poi togliendo gli intermezzi e i pezzi che riguardandoli non sono invecchiati bene non avremmo suonato molto altrimenti. Sia perché abbiamo voglia di fare altre cose, sia per questioni di lunghezza di set, faremo anche altri brani.
Michele: Una volta, un po’ per questione di età, un po’ per mentalità, eravamo molto legati al genere che facevamo, ci riconoscevamo molto in quella cosa lì. Adesso per me Raein trascende da quello, non ci poniamo dei limiti. Parlo al presente perché magari adesso cercheremo di fare cose nuove, però fino alle ultime sessioni di registrazione e di scrittura non ci davamo dei paletti, mentre da molto giovani sì. Adesso è tutto molto naturale, ci viene di fare le cose come ci escono, e andiamo avanti così senza darci dei limiti stilistici.
Queste sono le differenze sull’approccio alla composizione. Per quanto riguarda i concerti, invece? Come dicevamo prima son venti anni dall’uscita del vostro secondo album, siete in giro da tanto, e anche se adesso dovete ancora suonare potete vedere l’ambiente che c’è e magari avete dato un’occhiata a qualcosa da spettatori piuttosto che da musicisti negli ultimi anni. Quanto è cambiato il panorama dal vostro punto di vista in questi due decenni?
Michele: Per certe cose non è cambiato niente, per la modalità in cui suoniamo e per come veniamo percepiti. Chiaramente, quella che poi chiamiamo scena e in generale questo ambiente qua è figlia del proprio tempo, quindi sarebbe assurdo se non fosse cambiata.
Andrea: In un evento come questo la situazione è un po’ “dopata” sotto un certo punto di vista. Nel senso che un evento così, per come lo organizzano i ragazzi del Venezia Hardcore, è un contesto in un certo senso molto simile a eventi e situazioni che sono sempre esistiti nel mondo punk/hardcore. Sono cose più o meno professionalizzate o organizzate, però come mondo è abbastanza simile. Personalmente, da spettatore, questo non si può dire sempre. Io vivo a Bologna da tanto tempo, e anche solo l’esistenza di centri sociali e realtà alternative negli anni è andata scemando onestamente, un po’ perché chi le seguiva ha dovuto, per anzianità, storie di vita o per altri motivi, passare un testimone che in vari casi non è stato raccolto. Sto un po’ andando fuori dalla tua domanda, ma per certi versi alcuni aspetti della nostra generazione e della nostra “scena” non si sono riuscite a trasmettere, come alcuni modi di fare che a me piacerebbe rivedere, però come giustamente ha detto Michele è anche miope pensare che le cose nel 2023 debbano essere fatte esattamente come si facevano nel 2000. Noi stessi, parlando di un disco che ora ha vent’anni, stiamo parlando di un lavoro che abbiamo registrato a Forlì e abbiamo masterizzato in venti copie per poi spedirle via lettera a delle distribuzioni in giro per l’Europa sperando che lo ascoltassero. Ora, invece, se ti vuoi far sentire da qualcuno, dopo cinque minuti che hai finito il disco ti puoi far sentire da tutto il mondo, quindi per forza anche il percepito di ciò che vuol dire arrivare ad avere un disco e suonare è cambiato molto.
Parlando della vostra musica e di cosa c’è dietro, e anche rimanendo in ottica passata. Adesso ci sono diversi gruppi che iniziando a fare un certo tipo di musica prendono i Raein come punto di riferimento. Per voi, che siete stati in Italia tra i primi a fare un certo tipo di punk che col tempo si è modellato nello screamo e generi affini, quando avete iniziato a suonare cosa c’era dietro quella musica? Quali erano i vostri punti di riferimento e cosa volevate sfogare?
Michele: Un aneddoto che racconto generalmente parlando di questo è che io prima di iniziare a suonare la batteria ho deciso di diventare batterista di questo genere. Nel 1999 ho comprato Chaos Is Me degli Orchid, l’ho messo su dal lato B, ed è partito con “The Action Index”, che mi ha lasciato attaccato alla sedia con il suo modo di suonare la batteria che non avevo mai sentito, per me completamente nuovo e meraviglioso. Questo mi ha fatto dire “io voglio suonare la batteria in un gruppo così”. In seguito da cosa è nata cosa. Andando avanti abbiamo iniziato ad ascoltare altro, ora non ascoltiamo più screamo, dopo venticinque anni sarebbe anche difficile, quindi il tutto si è evoluto in maniera diversa, però per me la partenza è stata quella. Ai tempi eravamo tutti molto entusiasti, era una cosa per noi nuova, poi in Italia c’era qualche gruppo di riferimento prima di noi, come i With Love, però era tutto molto fresco e dava molti stimoli perché volevi creare il tutto, non dico da zero, ma ti guardavi indietro e c’era poco prima di te, quindi era una novità per noi.
Alessio: Anch’io penso la stessa cosa. Era ancora il mondo delle musicassette, noi eravamo tutti al liceo insieme, e ricordo ancora le discussioni all’intervallo in cui ci consigliavamo i gruppi. Io partivo più da analfabeta sull’argomento, e ricordo di una cassetta che aveva da un lato gli Orchid e dall’altro i Portraits of Past che è stata l’inizio.
Andrea: Poi, onestamente, noi abbiamo avuto molta fortuna in quel momento, riuscendo a entrare personalmente in contatto con questo mondo. Quando abbiamo iniziato a suonare, grazie a Ape Must Not Kill Ape che ci aveva fatto uscire Il n’y a pas d’orchestre, abbiamo avuto a ventun anni la possibilità di andare a fare un tour in Europa con i Funeral Diner, di conoscere il batterista dei Portraits of Past in tour, di fare amicizia e capire loro, che sono persone incredibili e ci hanno aiutato moltissimo in tour su tutti gli aspetti. Da lì per noi si è aperto un mondo, gli stessi nostri dischi hanno iniziato a girare all’estero e anche negli Stati Uniti e comunque abbiamo avuto contatti, anche con gli Ampere per esempio. Tutto quel mondo che vedevamo come un riferimento dopo poco è diventato pieno di nostri amici e persone con cui avevamo a che fare, eravamo in un certo senso i più giovani della prima ondata.
Michele: Capivi che in realtà era una sorta di network.
Andrea: Esatto, ti permetteva proprio di fare questa crescita, in cui a nostra volta abbiamo provato a coinvolgere tutti i gruppi con cui avevamo rapporti, conoscenze o amicizie nate da tour, split e altro. Questo permetteva veramente di creare valori per tutti.
Tutte le esperienze che avete vissuto suonando in giro quanto vi hanno cambiato? Quanto vi portate dietro da quegli anni?
Alessio: Tutto direi. Per noi è praticamente iniziato tutto così, c’è stato ovviamente qualche concerto in Italia, però i tour in furgone, uscire dai confini e fare esperienze in Europa sono state cose che sono arrivate molto presto e sono state abbastanza radicali nella nostra esperienza.
Michele: Tutto sempre selvaggio, comunque, dal primo tour all’ultimo.
Alessio: Assolutamente sì, con un grado di aneddoti e di delirio sempre matto che penso ogni gruppo si porti dietro. È sempre molto intrecciata questa dimensione dell’amicizia, perché ovviamente vai in posti nuovi, conosci persone, mantieni rapporti, ci torni…. Ti direi, è stato tutto fondamentale.
Michele: Gli amici che, anche fuori dall’Italia, ci siamo fatti in quegli anni, adesso che magari sono al di fuori della musica, sono rimasti tali. Ti cambiano la vita queste esperienze.
E adesso il presente. Finalmente è arrivata l’occasione di tornare a suonare dal vivo e tra poco ci sarà il vostro concerto. Ora avete dei piani futuri dopo tutta questa attesa oppure suonate stasera e poi si vedrà?
Su questo non diciamo niente. Facciamo questo concerto e poi vedremo.