Un nome, un programma. Inferno è il primo album dei Thørn (la sua premiere è disponibile a questo link), e come anticipa il titolo si tratta di un assalto sonoro deciso, che senza mezzi termini travolge l’ascoltatore prendendo a piene mani da hardcore, grind e black metal. In occasione di un concerto che hanno fatto al C.I.Q. di Milano insieme a Metide e Disciplina abbiamo avuto modo di fare un paio di domande alla formazione milanese, analizzando tutto ciò che sta alla base del loro nuovo lavoro.
Ciao ragazzi e benvenuti su Grind on the Road. Partirei facendo un salto nel passato, dato che il progetto è già attivo dal 2017 e voi avete anche esperienze, attuali o passate, con altri gruppi, come If I Die Today, La Fin e Calvario, ma non solo, quindi girate da tempo nel panorama underground italiano. Il progetto com’è nato?
Alberto (voce): Di base la band nasce da una mia idea. Arrivo dalla Sardegna, dove avevo suonato per una decina di anni prima di smettere. Trasferendomi a Milano ho iniziato a seguire i concerti e le band locali, facendomi venire la voglia di ricominciare a cantare dopo diversi anni che non lo facevo più. Gli altri membri tra di loro si conoscevano già per via delle band di cui facevano parte, mentre io li ho conosciuti un po’ alla volta beccandoli in giro a concerti o tramite conoscenze in comune, così nel giro di qualche mese hanno preso forma i Thørn, con cui la mia intenzione iniziale era quella di fare un progetto blackened hardcore in stile The Secret e Oathbreaker.
Adesso voi siete in procinto di pubblicare il primo album, però la vostra carriera è iniziata nel 2018 con l’EP omonimo, nel mentre sono passati cinque anni che non sono un periodo indifferente, quindi mi viene naturale chiedere come si sono evolute le cose e com’è cambiato il vostro approccio alla musica nel mentre?
Loris (chitarra): il problema è che c’è stato di mezzo il covid.
Alberto: Esatto, ha rallentato parecchio il tutto. Oltre a questo, tra l’EP e Inferno siamo stati condizionati tanto dalle date che abbiamo fatto live, che ci hanno plasmato e ci hanno portato a realizzare l’evoluzione a cui siamo arrivati.
Loris: Per quanto riguarda il covid, invece, ci ha rallentati perché comunque noi non viviamo esattamente tutti vicini, e non essendo tutti dalla stessa regione anche solo trovarsi in saletta per suonare non ci è stato possibile per lunghi periodi.
Alberto: Abbiamo fatto tanti mesi in tre, io, Marco (chitarra) e Andrea (batteria), diversi pezzi li abbiamo scritti solo noi, e solo quando la situazione è migliorata e gli spostamenti sono tornati possibili gli altri sono riusciti ad accodarsi. Non è stato facile, comporre in tre con solo una chitarra ti rallenta molto, Loris abita a Parma ormai quindi a prescindere certe dinamiche si evolvono lentamente. In ogni caso, tutto questo ci ha permesso comunque di dedicare molto più tempo ai pezzi, arrivando ad una piena soddisfazione.
Nonostante queste tempistiche dilatate e questi problemi di fondo, siete riusciti a mantenere un filo conduttore tra i vari pezzi?
Morgan (basso): Forse tutto questo ci ha aiutato ancora di più a trovare una direzione precisa, in realtà. A tutti noi piace la musica veloce e aggressiva, e all’inizio ciò che abbiamo scritto era pura violenza, mentre ora rispetto all’EP i pezzi sono più articolati e più oscuri, ci sono tante dissonanze così come atmosfere che dilatano. I Thørn sono quelli di adesso, questa è la nostra identità vera, l’EP era stato registrato velocemente appena abbiamo iniziato a suonare assieme con questa formazione.
Alberto: L’EP è nato dai primi mesi in sala prove, tra aprile e novembre li abbiamo composti e registrati. Tutto quello che abbiamo partorito in quei mesi, quando eravamo tutti a Milano ed era più comodo vederci e andare in sala prove a suonare, l’abbiamo preso di getto e buttato fuori. In seguito, un po’ alla volta abbiamo cominciato a dare una forma a quello che poteva essere il nostro vero suono.
Loris: A livello di scrittura sono anche più facili come pezzi, però funzionano. Di solito sono molto autocritico ma in questo caso sono molto soddisfatto, e tornare finalmente a suonare live ci ha dato una spinta in più.
Musicalmente ci sono queste atmosfere aggressive e veementi, mentre per quanto riguarda le tematiche di cosa parlate? Avete una visione in particolare degli inferi a cui è legato il titolo che è, appunto, Inferno?
Alberto: Sono volutamente nove pezzi perché ognuno descrive un cerchio dell’inferno, da qui il nome Inferno. Anche i titoli dei pezzi sono legati a una particolarità di ogni singolo girone infernale. Queste tematiche le trovavamo molto vicine al nostro sound e al suo lato più cupo, dato che c’è molto black metal a prescindere dalla presenza dell’attitudine hardcore o di un pezzo che può essere più in stile Baptists, per dire. C’è sempre questo filo conduttore scuro, quella tinta black, che si sposava bene con le tematiche trattate. Ragionando su un disco pensi a quanti pezzi fare, e noi abbiamo pensato di farne nove proprio seguendo questo ragionamento: uno per ogni cerchio dell’inferno. Questa è l’idea di base.
Come influenze esterne, sia come tematiche e testi che come musica, ci sono scene/band da cui prendete ispirazione in particolare oppure è tutto molto eterogeneo e soggettivo, ognuno con il suo background?
Alberto: Di base abbiamo tutti degli ascolti in comune: il filone Deathwish/Southern Lord piace a tutti, quindi band come Baptists, Trap Them e The Secret, che sono stati tra i primi gruppi che abbiamo preso come riferimento quando abbiamo iniziato a suonare, insieme agli Oathbreaker. A me personalmente quello stile piace tantissimo, poi ognuno ha le sue influenze ma per il gruppo la base di partenza è stata quella. Mi vengono in mente anche i Celeste. Anche chi ci ha dato un feedback esterno ha citato i questi gruppi: quella era l’idea e siamo riusciti a trasmetterla.
Loris: Dal mio punto di vista si fa sentire molto anche la componente hardcore. Alla fine abbiamo tutti passato il periodo hardcore, e infatti il classico “tupa tupa” non manca mai.
Invece per quanto riguarda i testi, come nascono? Sono opera di una mente unica o coinvolgono tutti?
Alberto: I testi li scrivo io, a riguardo ti faccio un paragone con l’EP. In quel lavoro mi sono riferito al culto dei cinque soli degli Aztechi, mentre ragionando in ottica full length ho avuto l’idea di cui ho parlato prima inerente all’inferno e ho lavorato su quello. Il passaggio è stato abbastanza automatico, nel ragionare per l’album il mio pensiero è stato quello e ho lavorato fin da subito su quelle tematiche. Per il futuro invece si vedrà, ci devo pensare.
Invece l’artwork come nasce? A me ha colpito molto, ha elementi diversi che si legano bene e anche molti dettagli. Qual è la vostra visione? C’è stata un’idea precisa fin da subito?
Morgan: Più che un’idea precisa all’inizio c’è stato un artista. La copertina è stata realizzata da Django Nokes, che sta crescendo molto in Italia e all’estero, fa mostre ed esposizioni, lavora su foto e disegni e ci piacevano molto i temi che trattava e il modo in cui li affrontava. Colori scuri e tematiche decadenti e occulte. Più che un’idea c’era lui nella nostra testa, e nel momento in cui abbiamo pensato a chi affidarci per l’artwork è stata una scelta veloce.
Alberto: Tra l’altro siamo diventati amici perché lui è grande fan ed amico dei The Secret, e quando ci siamo beccati siamo andati subito d’accordo dato che era preso benissimo all’idea di vedere un’altra band italiana su quel genere musicale. Io ero già un suo fan, avevo comprato delle sue stampe, poi ci siamo scritti dei messaggi, ci siamo beccati qualche volta a Milano quando esponeva e tra una cosa e l’altra ci segue praticamente dagli inizi. Per questo motivo è stato spontaneo chiedere a lui e gli abbiamo dato carta bianca. Gli abbiamo semplicemente inviato qualche brano del disco senza neanche il mix, gli abbiamo spiegato le tematiche e l’abbiamo fatto lavorare liberamente. Già la prima bozza era molto vicina al risultato finale, poi ci sono stati dei ritocchi e delle sistemazioni però rappresentava benissimo l’essenza del disco.
Tornando un attimo alla questione esperienza in altre band, che siano questioni passate o presenti, quanto effettivamente cambiano nell’approccio alla musica e alla composizione? Vi siete mai trovati in situazioni in cui idee passate, magari scritte anche per altri progetti, sono tornate utili?
Loris: Sì, alla fine ci sono idee scritte in altri contesti che tornano utili, per esempio un paio di pezzi son nati da bozze che avevo scritto per l’EP, oppure per i La Fin. Secondo me l’esperienza passata di ognuno di noi viene fuori quando suoniamo dal vivo, nell’approccio al concerto in sé, è quello che fa la differenza. Per quanto riguarda la scrittura ognuno ha i suoi metodi e dal mio punto di vista è come essere sempre al giorno uno, indipendentemente da quanto hai suonato in passato, e anche se hai una nuova band, a prescindere dal genere, il processo di scrittura non è mai lo stesso, bisogna sempre adattarsi. Quello che invece fa l’esperienza sono i concerti: se suoni tanto con diversi gruppi, quello ti aiuta tanto quando sei in giro, lo dimostra anche il tempo per prepararsi, per fare il soundcheck, come ti poni con gli altri gruppi, con gli organizzatori e in generale con le altre persone.
Alberto: Anche secondo me arrivare da band dell’underground che già hanno avuto tante esperienze più che in scrittura aiuta in tutto il resto, come i concerti. Puoi anche avere un gruppo formato dai “migliori”, ma a tutti servono dei concerti per carburare e trovare l’intesa, e nel nostro caso avere questo side project (dato che ai tempi della fondazione lo era per tutti tranne che per me) tutte quelle esperienze hanno portato a migliorare più velocemente possibile la qualità live ed ovviamente anche la parte compositiva.
Proprio parlando dei concerti, la vostra musica dal vivo ha il suo impatto. Vi capita spesso di scrivere dei brani proprio immaginandoli in ottica live?
Alberto: Sì, assolutamente, nel costruire i pezzi ogni tanto ci capita di fermarci e ragionare su come potrebbero rendere dal vivo, se potrebbero annoiare oppure dare una pacca in più, quindi è una componente che sicuramente teniamo in considerazione. Come band non siamo un gruppo che può stare magari un minuto e mezzo a fare un arpeggio che ci mette tanto a finire prima di far “esplodere” il pezzo, noi siamo più immediati e nello scrivere teniamo in conto di avere un impatto feroce e aggressivo sin da subito, pur con le nostre aperture.
Per concludere vi chiederei due parole in ottica futura: nei prossimi mesi avete dei concerti in programma per promuovere il disco. Avete altri piani per i prossimi mesi? Oppure prima vi dedicate a questi live e poi si vedrà?
Morgan: Al momento stiamo pianificando delle date in autunno, e faremo un po’ di giri fuori dall’Italia. Per adesso la priorità è portare fuori il disco, farlo sentire il più possibile cercando molte opportunità per suonare, credo comunque che non passerà troppo tempo prima che riinizieremo a scrivere qualcosa, magari andando in giro cominceremo a vedere dei riff o delle idee per cui si andrà avanti, ma nell’immediato pensiamo a promuovere il disco coi concerti, anche fuori dall’Italia se ce n’è la possibilità.
Alberto: Esatto, magari dopo l’estate inizieremo a ragionare su che direzione prendere e capire come scrivere qualcosa di nuovo, però nel frattempo puntiamo tanto a suonare dal vivo.
Loris: Anche perché dopo due anni e rotti di fermo c’è sicuramente voglia di andare un po’ in giro. Soprattutto personalmente preferisco sempre suonare live.
Vi ringrazio per la disponibilità e vi auguro il meglio per la promozione del disco!
Grazie mille a te e a tutti i lettori di Grind on the road!