Abbiamo raggiunto gli Ufomammut, tra le più grandi band in circolazione in Italia in ambito heavy, e dopo l’ascolto e l’assimilazione del loro capolavoro 8 abbiamo provato ad addentrarci con loro nel nuovo album e nella vera identità della band.
Dopo diciotto anni di attività, otto album alle spalle, vi siete consacrati come la maggiore entità italiana in circolazione, in ambito di musica pesante. Ma chi sono veramente gli Ufomammut?
Urlo: Siamo tre individui che perseguono un loro sogno da ormai lungo tempo. Aiutati da altri individui siamo riusciti ad addentrarci, come in un viaggio dantesco, nei meandri della musica pesante
Vita: Siamo tre persone normalissime che amano sia ascoltare che comporre musica, con una forte perseveranza che ci ha portato ad essere quello che siamo nel mondo della musica heavy.
Nei vostri lavori trasmettete una stato di ipnosi e semi-incoscienza all’ascoltatore, quasi come l’effetto e l’abuso di sostanze stupefacenti. Quale è la vostra alchimia e il vostro stato psichico quando entrate in studio?
U: Non saprei, direi che siamo molto concentrati su quello che facciamo e parecchio lontani dall’abuso di sostanze… (ride, ndr)
Poia: Il viaggio spazio temporale e mentale della psichedelia è indipendente dall’utilizzo di “aiutini” esterni, di qualunque natura. Rimanere consapevoli dei propri limiti e cercare di oltrepassarli in maniera cosciente con la musica è un modo efficace per alterare la nostra realtà.
V: C’è una notevole intesa tra noi, un’alchimia che nel corso degli anni ci ha aiutati a trasformare una “semplice” amicizia tra noi tre in una band che vive da quasi diciannove anni. Quando entriamo in studio abbiamo sempre e solo un obiettivo, cioè quello di dare il 100% di noi per sfornare dischi, in teoria, migliori dei precedenti e che possano essere apprezzati dai nostri fan o da chi ancora non ci conosce.
Di cosa parla la vostra musica e a quale entità possiamo correlarla?
U: La nostra musica parla di quello che si desidera sentire da essa. Noi diamo una traccia iniziale, poi sta all’ascoltatore darle un senso.
V: La cosa più bella dell’arte (e la musica ne fa sicuramente parte) sta nel fatto che chiunque può darle un proprio significato a seconda della visione che si ha. La bellezza è soggettiva. Per fare un esempio, il disco che ha venduto più copie nel mondo (perciò teoricamente il più bello di sempre) non fa parte della mia collezione perché non mi piace, poi magari posseggo una copia di un album che non piace a nessuno mentre a me fa girare la testa.
In questo lavoro ci sono riff enormi, tempi spaccaossa e tanta psichedelia, più di quanto abbiamo potuto sentire negli album precedenti. Volevate provare a comporre qualcosa di supremo?
P: Credo sia un disco molto completo e concepito con molta cura. E abbiamo cercato di impararlo per bene, in modo da poterlo suonare con immediatezza e disinvoltura, cercando di superare i nostri limiti tecnici. Non è stato semplice ma ci piace metterci i bastoni tra le ruote da soli.
U: Volevamo fare un disco differente, abbiamo ragionato al fatto che le band, invecchiando, si siedono e cominciano a fare dischi sempre più molli. Abbiamo voluto seguire la direzione opposta.
V: Cerchiamo sempre di comporre cose nuove e diverse senza riscaldare la solita minestra, come purtroppo parecchie band, anche grosse, hanno il vizio di fare. Abbiamo cercato di superare e migliorare noi stessi oltrepassando i nostri limiti, cosa che accadrà sicuramente anche quando lavoreremo al prossimo album.
Nel vostro sound si sente una forte matrice stoner/doom/sludge/rock (rimane sempre riduttivo definirvi tali), oltre che alla già citata psichedelia allucinante. Con quali generi e band musicali siete cresciuti?
U: Personalmente con Sex Pistols e Clash. Poi crescendo ho dato libero sfogo alle possibilità musicali che ci sono in giro e oggi ascolto un po’ di tutto.
P: Da bambino erano i Beatles a girare nello stereo di casa. Durante l’adolescenza Battiato e Springsteen, i Pink Floyd ed Ennio Morricone, e poi gli Zeppelin e i Sabbath che rivelavano un mondo musicale da me poco conosciuto, giusto un attimo prima dell’esplosione successiva del rock, quella dei primissimi anni novanta.
V: Grazie a mia madre sono cresciuto con Beatles ed Elvis Presley mentre grazie a mio padre con musica lirica e classica. A dodici anni mi sono innamorato dei Pink Floyd (e di conseguenza della psichedelia) mentre un paio di anni dopo ho scoperto il mondo dell’heavy metal, il quale mi ha portato ad adorare filoni musicali come l’hard rock/prog rock dei ’70, il thrash/speed metal e l’hardcore. In cima alla lista delle band che preferisco e che mi hanno formato come musicista ci sono (in rigoroso ordine alfabetico) Beatles, Deep Purple, Exodus, Grand Funk Railroad, MC5, Metallica (primi quattro album), Motorhead, Peggio Punx, Pink Floyd, Sacred Reich, Steppenwolf, Slayer.
Avete condiviso palchi con tantissime band di notevole spessore. C’è qualche episodio da raccontarci in particolare, o qualche esperienza da esternare?
V: Episodi da raccontare ce ne sarebbero a decine e non basterebbe una sola intervista. Uno su tutti, per me, è stato nel 2012 all’Hellfest quando nell’arco di dieci minuti ho stretto la mano e parlato con gli Exodus, i Sacred Reich ed i Death Angel. Posso dire che, grazie ai numerosi festival metal dove abbiamo suonato, ho avuto la possibilità di conoscere di persona alcune delle band/musicisti che adoro sin da quando ero un ragazzino, cosa che emotivamente parlando non ha prezzo.
P: E’ parecchio strano poter suonare insieme alle band che abbiamo amato e che sembravano creature quasi leggendarie. Abbiamo perso purtroppo il timore reverenziale e l’idea del mito ma guadagnato la dimensione umana.
Avete partecipato diverse volte ad uno dei festival più importanti in ambito undergorund, ovvero il Roadburn. Cosa potete dirci di questa esperienza?
V: Il Roadburn è un’esperienza unica perché, essendo un festival grosso ma non gigante, tutte le band sono a stretto contatto sia tra di loro che direttamente coi fan. Ci abbiamo suonato tre volte e soprattutto siamo stati, nel lontano 2006, la prima band italiana che ha calcato il palco dello 013 di Tillburg. Piccola soddisfazione personale.
U: Abbiamo suonato al Roadburn parecchie volte ed è sempre stata un’esperienza molto bella. Poi, per problemi tra il festival e la nostra agenzia di booking, non siamo mai più stati invitati. Cosa che mi rattrista parecchio perché la musica dovrebbe superare certi comportamenti che pensavo tipici solo della politica più meschina.
Cosa pensate della scena musicale undergound italiana e delle band che la compongono?
U: Sta crescendo, cambiando. Le band italiane hanno a volte qualche cosa che le distingue dalle straniere, forse portato dalla necessità di sbattersi il doppio rispetto alle band inglesi e americane.
V: Personalmente penso che se noi italiani in primis credessimo e supportassimo di più la nostra scena musicale underground potrebbe migliorare ancora e diventare più grande e seguita. Siamo un po’ esterofili, di conseguenza si tende a pensare che tutto ciò che arriva da oltre confine sia migliore di quello che abbiamo già in casa e, alcune volte, non è esattamente così.
Siete attivi dal 1999, avete seminato tantissimo e raccolto molto. Siede soddisfatti di tutto ciò che avete fatto? Avete qualche sasso nelle scarpe da volervi togliere? Cosa c’è nel futuro degli Ufomammut?
U: Personalmente sono molto contento e spero che il nostro viaggio continui ancora per tanto tempo. Oggi abbiamo tutti altri progetti oltre ad Ufomammut (personalmente sto lavorando a The Mon, Farwest Zombee e Kton) che hanno anche aperto in parte orizzonti interessanti per Ufomammut da un punto di vista compositivo. Il futuro si vedrà, per ora vogliamo solo girare il più possibile con questo disco.
V: Sicuramente siamo soddisfatti di tutto ciò che fino ad ora abbiamo raggiunto, penso che nessuno di noi tre avrebbe, all’inizio di questa avventura, creduto che nel 2017 saremmo stati ancora attivi a pieno ritmo come lo siamo tutt’ora. Il futuro neanche Dio (visto che non esiste) lo conosce, sicuramente fino a quando ci saranno nuove idee e nuovi stimoli vogliamo continuare su questa strada intrapresa anni fa. Come giustamente dice Urlo, nuovi orizzonti, di conseguenza idee e forse anche stimoli, arrivano anche dai progetti che ognuno di noi ha all’infuori di Ufomammut. Io suono in altre due band che, musicalmente parlando, hanno poco a che vedere con il genere di Ufomammut, Sonic Wolves (hard/heavy rock) e Rogue State (hardcore). Riguardo il sassolino, con tutto il rispetto e senza polemica, uno lo voglio togliere. Pochi mesi prima dell’ultima volta che abbiamo suonato al Roadburn (2011), stavo leggendo un forum italiano che parlava, appunto, delle band confermate al festival. Qualcuno scrisse testuali parole “ancora gli Ufomammut, che palle!”. Per fortuna qualcun altro gli rispose a tono dicendo che, magari, poteva essere noioso per lui (essendo italiano) ma non per chi arrivava dagli Stati Uniti, dall’Australia o, comunque, qualcuno che non ci aveva ancora visti dal vivo.
P: Non ci sono sassolini, abbiamo fatto tutto sempre nella più totale libertà. Siamo orgogliosi di quanto fatto ovviamente, ma consapevoli dei nostri limiti e desiderosi di continuare ad evolverci ed esplorare nuovi scenari sonori.
Salutate i lettori di Grind On The Road come meglio credete. Grazie per il vostro tempo.
U: Ciao a tutti e grazie per il supporto che ci date!
V: Per chi fa musica voglio dire di non arrendersi mai. Un ringraziamento speciale va invece a chi è un’amante di musica ma non suona nessuno strumento, perché non vuol dire che siano meno importanti, anzi senza i fan non esisterebbero le band. Rock on!
P: Come dice King Buzzo dei Melvins: “Hello music lovers! We are music lovers too!”