L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Un vecchio adagio che i connazionali Grumo vogliono rispettare, ed omaggiare, con il loro nuovo album Sons Of Disgust. Ci hanno messo ben dieci anni, spesi tra concerti tra Italia e Europa, un lasso di tempo enorme, ma alla fine l’attesa ci ha ripagato con un disco che è una mazzata tra i denti. Un album il cui songwriting è frutto di questi due lustri, tant’è che ci sono canzoni che arrivano direttamente dal 2017 o giù di lì. Da sempre devoti al grindcore, nelle varie declinazioni del genere, e amanti del death metal più viscerale e crudo, la band non ha solo confermato quanto di buono fatto con le precedenti uscite discografiche ma ha alzato l’asticella, e di parecchio. Diciamolo subito: se la band arrivasse dagli States ci sarebbero molte più recensioni in giro, se ne parlerebbe di più sui vari forum e sui social. Perché questo disco non ha davvero nulla da invidiare rispetto a band più blasonate o dischi che sono entrati nel Gotha del deathgrind.
I Grumo pestano duro, lo fanno con maturità, non sono ragazzini tutto ormoni e riffoni, c’è sostanza in quello che scrivono. In 29 minuti servono un menù di altissima qualità. Abbandonando la lingua madre, ora tutte le tracce sono cantate in inglese, il death la fa da padrone – il grind viene somministrato in piccole dosi – mentre le tematiche sono sempre quelle incazzose che ben conosciamo: società alienante, paranoia e frenesia, rigetto per la borghesia, anticlericalismo e tante altre belle cosette che, va detto, sono ampiamente condivisibili se si è dotati di un minimo di cervello. La band di Riki (voce) e Nico (batteria), da sempre al timone della corazzata Grumo, ben spalleggiati da Marco Carboni (basso) e Simmi (chitarra), conosce bene la materia estrema andando a suonare un ottimo death metal di stampo americano, con quel riffing paludoso e pieno di groove che provoca “secchezza delle fauci“; i brani sono brevi, soltanto un paio superano i tre minuti di durata. Ma non c’è bisogno di allungare il brodo, velenoso quanto serve, Sons Of Disgust è una pietanza bollente da mandar giù tutto d’un fiato e tanti saluti al nostro tubo digerente. Da segnalare la presenza di Devid (Distruzione, band che ha diviso parecchie volte lo stage con i Grumo) nel brano “No Longer Devotion”, probabilmente l’esempio più canonico dell’intera tracklist, ma la posologia è giusta e quindi silenzio, corna al cielo e via di headbanging. La chiusura del disco è affidata ad un brano sperimentale: alle vocals troviamo un altro ospite, Piro (Putridity) che cosparge il tutto col suo growl profondo e sanguinolento mentre la coda strumentale, piena di effetti che rimandano alle atmosfere Carpenteriane, è affidata a Dome (TV-CRIMES, già guest con gli altrettanto torbidi e morbosi Fulci) ed è qui che al sottoscritto si aprono ipotetici, e magnifici, scenari futuri, ove il death, il grind, quindi la bellicosità innata dei ragazzi di Modena, possa coesistere con qualcosa di artificiale, sintetico, freddo, atmosferico. Potrebbero tirare fuori qualcosa di assolutamente intrigante, una diversa chiave di lettura per il loro vigore musicale.
Ma se così non fosse, se questo dovesse rimanere un turgido What If? non ci sarebbero comunque problemi: i Grumo sono tornati, i Grumo sono la zia milfona con la quale passare volentieri un pomeriggio sul divano.
(Dismal Fate Records, 2025)
1. Doomed
2. Consumed By Punishment
3. Never Had Fear
4. Shattered Glass Breathing
5. Sons Of Disgust
6. We Are The Scum
7. No Longer Devotion
8. Riding Into Nowhere
9. Mutilated From The Inside
10. A Mouth That Devour
11. Everything Is Poison