Arrivano al loro terzo lavoro i canadesi Hammerhands, che con questo Model Citizen sono chiamati a confermare i buoni risultati dei due dischi precedenti. La loro proposta, rispetto agli inizi, ha subito una notevole maturazione e attualmente si può definire come un buon compromesso tra diversi elementi, dalle ritmiche tipiche del doom alla profondità dello stoner, per un risultato finale che è difficile da definire semplicemente come sludge, genere in cui i Nostri si identificano maggiormente.
Fin da subito sale in cattedra un riffing semplice e coinvolgente che aiuta sicuramente nell’impatto con l’ascoltatore. Abbiamo davanti un disco che per quanto possa essere essenziale e non innovativo contiene un’ottima varietà, con la personalità del quartetto che si mette facilmente in mostra. La loro crescita si può notare maggiormente se si paragona il lavoro con “Glaciers”, album di debutto, nel quale la proposta era comunque simile, però più macchinosa e alla lunga stancante. Riprendere quanto già scritto e migliorarlo in questo modo è sicuramente una dimostrazione delle capacità apprese col tempo, e l’inizio dell’album è la messa in pratica di queste doti.
Ci sono pezzi dall’approccio più aggressivo, come nel caso di “MAXIMUM Beta”, e altri con settori più ragionati, quale “I’m Not Here”, con la prima metà della produzione che mantiene comunque la stessa carreggiata, senza particolari cali di livello. Successivamente, la successione tra “Dad Sludge” e “That Awful Sound” dimostra la presenza della caratteristica citata in precedenza: la varietà. I due brani hanno pochi fattori in comune ma riescono a contribuire in modo analogo alla riuscita del disco in generale, evitando di risultare fuori posto.
Nel finale c’è un ulteriore cambio di registro, con la melodia che contraddistingue le ultime due composizioni. “Not in the Cards” è una traccia essenziale e nostalgica, mentre la conclusiva “Bastard Jesus” presenta ritmi cadenzati, talvolta orecchiabili, che terminano questo “Model Citizen” in modo leggero, dopo la continua intensità di quanto ascoltato precedentemente.
Un disco multiforme e imprevedibile, che senza troppe pretese segna un netto passo in avanti per la carriera degli Hammerhands, i quali son riusciti a prendere i migliori aspetti dei loro inizi e a perfezionarli, ottenendo risultati considerevoli. Non è semplice trovare un lavoro che con così poco riesca a contenere tutta questa ricchezza, e questo è il merito maggiore che va attribuito ai canadesi.
(Autoproduzione, 2019)
1. Pleasure Island
2. MAXIMUM Beta
3. Do It Right
4. I’m Not Here
5. Too Many Rivers
6. Dad Sludge
7. That Awful Sound
8. Not in the Cards
9. Bastard Jesus