Secondo full-length per gli scozzesi Hark, classico esempio di stoner rock arricchito da venature sludge. Se parliamo in termini di stile, Machinations non si discosta poi molto dal precedente Crystalline, che pare una specie di prototipo dell’attuale album, magari meno spontaneo ma più ruvido. Possiamo dire quindi in generale che gli Hark sviluppano un sound carico, che tende a riempire l’intero apparato uditivo con riff in stile old school hard rock e voci alla Orange Goblin e Red Fang.
La pienezza di vibrazione rende l’opera estremamente godibile e tutto ciò farà piacere agli amanti del genere; tuttavia, la proposta non risulta poi così originale né si riesce a trovare qualcosa che faccia gridare al miracolo. Gli Hark non sono abbastanza diversi dal resto del filone da definirli sperimentali (come ad esempio i loro conterranei Ohmms), ma allo stesso tempo non sposano completamente la stilistica di genere e questo li colloca nel campo del ‘vorrei ma non posso’: una posizione spesso interpretabile come una mancanza di coraggio.
Non si può dire che Machinations non sia un buon album; dall’incredibile trama psico-onirica della cover (creata dal chitarrista Jimbob Issac) alla produzione (più curata, con una migliore chiarezza del suono dei bassi e distorsioni più accattivanti, rispetto a Crystalline), il disco ha tutti i numeri per essere considerato un buon prodotto; non per niente la Season of Mist ha supportato la band fin dagli esordi. Nonostante questo, gli Hark rimangono un prodotto di nicchia, che difficilmente riuscirà ad emergere dalla corrente in cui ha deciso di adagiarsi.
(Season of Mist, 2017)
Fortune Favours the Insane
Disintegrate
Nine Fates
Speak in Tongues
Transmutation
Son of Pythagoras
Premonitions
Comnixant 3.0
The Purge