Gli Hauntologist sono un nome nuovo del black metal moderno ma i musicisti coinvolti sono sulle scene da anni. Parliamo di un side project dei polacchi Mgła: Maciej Kowalski – in arte Darkside – alla batteria e Michał Stępień – conosciuto anche come The Fall – bassista in sede live dei sopracitati, che qui si cimenta anche con chitarre, tastiere e voce. Se da una parte era opportuno immaginarsi una proposta artistica debitrice della band madre, con la quale sono stati scritti dei signor dischi, dall’altra si rimane spiazzati da come il duo abbia spinto la propria musica verso lidi diversi. La matrice black metal, molto atmosferica e rarefatta, è ovviamente ben presente: non si smette mai di esser capaci di andare in bicicletta, se mi concedete il parallelismo. Ma all’estremismo nero i Nostri aggiungono altre chiavi di lettura per musicare disperazione, sgomento, depressione, mal di vivere.
Se solitamente è la natura incontaminata a far da scenario, con Hollow si è scelto di ambientare i sentimenti più biechi e dolorosi in un contesto urbano; non più alberi ma palazzi desolanti, non terra e sassi ma cemento, acciaio, vetro. Il risultato finale è in egual modo lacerante. Durante lo scorrere delle canzoni, si assiste alla discesa negli inferi, la solitudine è la vera protagonista del disco. “Ozymandian” unisce con sapienza black metal, post-rock e post-punk: The Fall opta per un cantato molto gutturale, quasi un growl death metal, che almeno inizialmente pare fuori contesto ma che poi, ascolto dopo ascolto, si incastona ottimamente in tutti i brani. Già con la prima traccia gli Hauntologist mettono le cose in chiaro: malinconia come se piovesse. “Golem” prosegue sulla stessa direzione, anche se in alcuni frangenti le parti di batteria sono più tirate, diventando violente, primitive e selvagge. Nei momenti più raccolti la band se ne esce con una vena cantautorale inaspettata. Potrebbe sembrare che Kowalski e Stępień cerchino di mantenere un piede in due scarpe ma così non è; semplicemente sanno scrivere brani molto belli. Dopo un breve, e per me inutile, intermezzo (“Waves of Concrete”), un incipit Maideniano detona in “Deathdreamer”: un brano tirato, quasi pop rock nella sua concezione di easy listening. La batteria disegna traiettorie sempre avvincenti, siamo a cavallo tra post-rock, indie e new wave. Anche qui, si sceglie un cantato che prende nettamente le distanze dai canoni black. Con la title-track il livello si alza: senza l’uso della forza la tensione emotiva rimane tangibile, quasi insostenibile. Siamo dentro ad un pantano di malinconia e disgrazia esistenziale, la pasta post-rock ricama passaggi sognanti. Un brano che ha tutto per diventare un classico, e non solo nel repertorio dei due musicisti polacchi. “Autotomy” richiama all’ordine, si torna a pestare duramente, c’è un continuo alternarsi tra post-rock e black metal, le sfumature diventano un’opzione che non viene contemplata mai. Il duo sa fare questo, ne è consapevole, giù a capo chino e via a scrivere un brano più bello dell’altro. Dopo “Gardermoen”, nenia post-rock – un basso anni Novanta che fa venire i brividi – ipnosi neo folk con linee vocali evocative, il disco si chiude con un brano capolavoro: “Car Kruków” è il romanticismo, la decadenza, è lo sfacelo delle carni, la tabula rasa della mente, il cuore che diventa arido, sangue secco, unghie rotte, guance bruciate da litri di lacrime salatissime. Tre note tre, messe come si deve, una voce in lingua madre, spoken words, l’inverno dell’est Europa, l’amianto, la morte prima dei quarant’anni.
Questo album parla di macerie. E no, non si tratta di città abbandonate. L’umanità che viene giù, in un silenzio assordante.
(No Solace, 2024)
1. Ozymandian
2. Golem
3. Waves of Concrete
4. Deathdreamer
5. Hollow
6. Autotomy
7. Gardermoen
8. Car Kruków