Il secondo full length del duo norvegese Hymn fa parte di quelle piacevoli sorprese che arrivano in contropiede, emergendo da un segmento musicale così ricco di proposte (più o meno valide) da risultare difficile da scandagliare nella sua completezza o comunque in modo da trovare i suoi esempi più significativi. Breach Us è una chimera di quattro tracce di ispirato sludge metal che non teme di spingersi oltre la canonicità. L’album è uscito il 28 agosto per la label (connazionale della band) Fysisk Format in CD/digital e vinile 12”.
I 38:09 minuti dell’album si costituiscono quasi unicamente della triade chitarra – batteria – vocals, ad eccezione di alcuni momenti più atmosferici che presentano synth, sound fx e pad. La tendenza a ridurre all’essenziale l’organico di sempre più metal act (di ogni segmento) non è direttamente proporzionale ad un deficit nella musica di quest’ultimi, anzi, gli Hymn stessi dimostrano come alla loro alchimia non manchi nulla. A colpire, fin dai primi istanti di ascolto, innanzitutto è la mole sonora sviluppata dal power duo, complice anche un evidente profondo studio della materia sonica che costituisce le fondamenta del disco. Tale orchestrazione di suoni risulta fondamentale nel soddisfare brillantemente ogni esigenza che (sia tecnicamente che artisticamente) si possa presentare nella stesura di un album come Breach Us. Ad esempio ci si avvale brillantemente della tecnica in questo opus, triplicando una chitarra che presenta simultaneamente una linea estremamente fuzzata (come doom suggerisce), una più intelligibile e tagliente ed ancora un’altra carica di basse – appendice nerd: all’Amper Tone Studios di Oslo, dove è stato registrato il disco, le suddette trasfigurazioni della chitarra sono state ottenute dall’utilizzo di Mashall JCM 800 e Simms Watts 120 (in configurazione stereo) ed un’imprescindibile full stack Ampeg con cabinet 810. Se da una parte c’è il classico stilema dell’”amplifier worship”, tipico del segmento sludge/doom metal, dall’altra ci sono due musicisti di genuina creatività, che giustificano un rig importante con dei suoni ben studiati e mai fini a sé stessi. Grande attenzione è riposta anche nel riffing e nel songwriting che per la sua autenticità pone gli Hymn sotto i riflettori rispetto alla proposta di un genere quantitativamente prolifico ma che non sempre eccelle in originalità e ragion d’essere. Probabilmente il duo norvegese si è spinto a trovare soluzioni poco canoniche (sia a livello compositivo che concettuale) anche grazie alla formazione su “sole” quattro gambe, che piuttosto diventa un trademark della band, che presenta uno stile di sludge (a tratti doom nelle sue estreme dilatazioni) minimale, ma che non si fa mancare nulla: Ole Ulvik Rokseth provvede ad un riffing serrato e punitivo, sulla scia moderna adottata da band come Tides of Sulfur (recensione ed intervista qui), oltretutto dal suddetto vengono sviluppate delle vocals espressive ed ispirate tramite uno stile vocale urlato e primordiale che reindirizza a Jon dei Conan. Soluzioni tanto atipiche quanto efficaci in termini di riffwriting sono presenti per tutta la durata del disco, a volte perfino spingendosi a gli estremi confini dello sludge metal. Tali aspetti si riscontrano subito nell’opening title-track “Breach Us”, ma soprattutto durante la seconda traccia “Exit Through Fire” dove un ostinato ritmico viene esasperato nella maniera che si confà a generi legati molto più alla modernità, pur non mancando di groove e risultando ben inserito nel contesto. Ad un tale modus espressivo deve essere necessariamente accoppiato un drumming poliedrico, mutevole e malleabile come quello offerto da Markus Støle, che in Breach Us, è sempre efficace, mai fuori posto e di grande impatto, martellando come in una fucina olimpica nelle sezioni doom ed esibendo pattern brillantemente personali, talvolta anche piuttosto intricati, dove è richiesta una batteria più cervellotica, che oltre a fornire una base ritmica quasi compone melodie percussive e frasi a sé stanti. Nel discorso musicale non mancano rarefazioni estreme alle soglie del drone, supportate da suggestivi sound fx ed eterei synth/pad. Una conoscenza artigianale ed una grande aspirazione riguardo le sezioni ambient/drone, viene esposta sia durante la traccia “Crimson”, ma soprattutto nel segmento finale del brano di chiusura “Can I Carry You”, in cui Ole passa da chitarra ad un veramente granitico basso che scaraventa la sua linea da trance psichica su una nebbiosa texture di synth e mellotron, performata dal collaboratore della band Simen Skari. Proprio tale sezione del suddetto brano è presa da una performance live della band, commissionata come contributo musicale per la proiezione del film muto The Parson’s Window, datato 1920.
Il secondo full length del duo norvegese Hymn è un ascolto simile solo a se stesso e che non teme di sperimentare, risultando singolare specialmente in nome di un autentica espressione artistica, motivata da un evidente ragion d’essere che viene chiaramente percepita per tutto Breach Us. Quest’ultimo è un album sludge metal eclettico, che ora non lesina di scaraventare in faccia all’ascoltatore riff mastodontici, ora lo immerge totalmente in sezioni atmosferiche che distorcono e dilatano lo spazio-tempo. Quella degli Hymn è una voce fuori dal coro, che attesta alla band norvegese una evidente maturità artistica, esplicata in un sistema costituito esclusivamente da suggestioni personali a cui le convenzioni stanno strette.
(Fysisk Format, 2020)
1. Breach US
2. Exit Through Fire
3. Crimson
4. Can I Carry You