La band romana Il Giardino degli Specchi torna sulle scene a distanza di quattro anni dall’ultimo lavoro con un nuovo album delicato e personale. Il loro percorso strumentale nasce nel 2015 sotto forma di duo ambient con uno studio attento delle strutture e un timbro post-rock a tinte progressive. Dopo il loro prezioso esordio Oltremare del 2018, subiscono un piccolo cambio di line-up alla sezione ritmica con l’ingresso di Luca Tiraterra alla batteria, che va a completare il mosaico dolce e sensazionale già iniziato dalla band. In questo nuovo full length Monstrum, i Nostri esplorano un ricco bagaglio sonoro con grande maturità; attorno alle nove tracce si crea un muro roccioso di distorsioni, un muro che racchiude un vortice di emozioni lunari e sognanti.
Una lanterna soffusa e misteriosa apre il cammino di “Le parole mai dette” su un tappeto di note spaziali del synth e sul ritmo deciso delle percussioni. La chitarra poi aziona un arpeggio malinconico, fino a lanciarsi con violenza verso il bridge ampio e la voce amplificata di fondo, che ci trascina a bordo di una vibrazione post-metal incendiaria. Segue “Distanze”, una composizione lunga e ipnotica; il timbro innocente e infantile disegna un racconto leggero e armonico, dove il chitarrista Valerio si cimenta in una narrazione solida e una ritmica avvolgente. Il cambio centrale emoziona a dovere e invita l’ascoltatore in un luogo familiare, avvolto da ricordi dolci e indelebili; una traccia intensa dal groove godibile. “Pripyat”, invece, inizia con un tiro morbido e un riverbero che unisce il tempo corposo della batteria e la potenza incredibile dei riff travolgenti. La canzone poi cresce d’intensità e mette in mostra una grande produzione, per uno dei brani più completi di questo lavoro. La prima parte del disco si conclude con due pezzi sperimentali e interessanti: in “Orso nero” il sound tribale crea un limbo mistico, dal gusto raffinato e sentimentale, mentre il loop aggressivo di “Kaiju” si lancia in una furiosa tematica progressive metal, con accenni di elettronica, che avvicinano l’ascolto al mondo attuale dei tedeschi Long Distance Calling. Con “Supernova” si riprende un percorso dinamico e graffiante, dove il tiro caldo del basso incastra i sussurri melodici della chitarra, andando a creare un’opera meticolosa che viaggia sul giro unico del pianoforte e sulla distorsione profonda. Nella parte finale del brano il gruppo esprime al meglio il nuovo sound e i nuovi orizzonti intrapresi. Ci avviciniamo alla fine e ci soffermiamo sulla calma interiore di “You have come a long way”, una traccia soffice e lineare, per poi passare all’oscurità di “05/09”, una suite inquietante e priva di luce che accoglie l’atto finale di “Longinus”, una canzone struggente, in cui ci ritroviamo al chiaro di luna in una notte dormiente con il delirio rumoroso finale che arresta il silenzio.
Il Giardino degli Specchi apre al pubblico un nuovo capitolo significativo, per un disco suonato a volumi intensi che collega la dolcezza alla desolazione in modo semplice e efficace.
(Sounds Of Failure, 2022)
1. Le parole mai dette
2. Distanze
3. Pripyat
4. Orso nero
5. Kaiju
6. Supernova
7. You have come a long way
8. 05/09
9. Longinus