Qualcuno una volta ha cantato: “Sono un ragazzo fortunato / Perché m’hanno regalato un sogno“. Io mi ci ritrovo tantissimo e il mio sogno si chiama metal. Quando ho iniziato ad ascoltarlo, quasi quarant’anni or sono, ho da subito capito quanto questo genere fosse splendido perché non si è mai posto limiti o barriere. In questi anni il metal si è espanso, ha mischiato le carte, ha ispirato altri mondi ma soprattutto non ha mai chiuso la porta alle contaminazioni. Nel metal vivono e prosperano decine e decine di sottogeneri, spesso le sfumature sono talmente labili che anche in una manciata di secondi di un brano, ecco che si ripercorrono anni e anni di discografie e stili su stili. Questo cappello introduttivo è funzionale per accedere alla proposta musicale degli Infant Island, che ritornano sulle scene con questo Obsidian Wreath – terzo lavoro sulla lunga distanza, nel paniere hanno anche un mini – un album micidiale, coeso in ogni solco a lasciare impresso in noi che ascoltiamo tutto il loro disagio, la rabbia primordiale, la disperazione e l’urgenza comunicativa di una generazione alla deriva. Dentro c’è di tutto, dal black crudo e puro, allo shoegaze introspettivo che sa di pioggia autunnale, fino al progressive, all’indie rock, al post-punk. Tutti generi in connessione tra loro, seppur con linguaggi diversi, che formano un humus solido, concreto, credibile.
“Another Cycle” apre le danze, fin da subito furiose, ed è un assalto crudo dove il black metal viene controbilanciato da ariose aperture melodiche. La produzione è grandiosa, rende giustizia a tutti gli strumenti, nonostante il baccano infernale che i cinque della Virginia imbastiscono in tutte e dieci le tracce del disco. Daniel Kost, lead vocalist, spreme a sangue le sue corde vocali; “Fulfilled” in novantasei secondi ci riversa un carico di blackcore violentissimo, ai limiti del grind, con dei break notevolissimi sul finale. Gli Infant Island, forti delle contaminazioni che il metal sa creare – come detto nel mio incipit di cui sopra – prendono la malattia degli Slipknot, rifocillando le proprie debolezze con un brano lento ma ugualmente pesante: “Found Hand” è sofferenza che non si vergogna di mostrarsi in tutto il suo oscuro splendore. Il drumming parossistico di Austin O’Rourke è la secchiata gelida dopo il torpore barbiturico del brano appena ascoltato; fanno capolino echi hardcore, il growl duella con lo scream e tutti e due ne escono vincitori, mentre tutto intorno cadono palazzi interi. Che pezzo incredibile questo “Clawing, Still”! I Nostri sanno anche smorzare i toni, a loro modo, e “Veil” è la concezione di ballata per la band. Il riffing disarticolato di Alexander Rudenshiold e Winston Givler è sofferto, il basso di Kyle Guerra completa una sezione ritmica in chiaro over performing; Kost smette di cantare, il suo è un latrato alla fine del mondo, i ritmi sono apocalittici, i break infondono pace, brividi sulla schiena; dal vivo questo brano raggiungerà vette altissime. A metà disco spunta lo spettro degli Alcest, quando una chitarra acustica dipinge una luna piena nel cielo della nostra stanza buia. L’irruenza black metal viene declinata in varie forme. Alla fine, il percepito emozionale è nettamente maggiore della durata effettiva del brano. “With Shadow” invita il post-rock al ballo; il cantato, volutamente sguaiato, crea una discrepanza con la musica. Gli Infant Island non hanno paura di osare, di spingersi oltre, e questo brano è un manifesto della loro Arte, così particolare, così malsana. Così necessaria. La penna del gruppo esce dai margini, sbava, si secca l’inchiostro e “Unrelenting” non aggiunge nulla di nuovo all’album. Un brano potente, diretto, ma già sentito, e meglio, in precedenza. E come se loro se la sentissero, ecco che arrivano le scuse, la medicazione che pulisce la ferita, non smorzandone il dolore perché “Kindling” questo è, un brano subdolo, che parte lento, con voci delicate (special guest: Great Death), per poi esplodere in milioni di pezzi. La chiusura del disco è affidata a “Vestygian”, il brano più lungo, quello più articolato, con Austin O’Rourke che distrugge la sua batteria e un cambio continuo di atmosfere, roba da perderci la testa.
Poi tutto finisce.
I suoni tacciono,
Le voci smettono di sputare veleno,
Le braci rimangono vive.
Le uniche luci che vediamo.
Cicatrici nella notte.
(Secret Voice, 2024)
1. Another Cycle
2. Fulfilled
3. Found Hand
4. Clawing, Still
5. Veil
6. Amaranthine
7. With Shadow
8. Unrelenting
9. Kindling
10. Vestygian