Dopo 5 anni di silenzio, a parte un disco di cover uscito nel 2020, Garbers Days Revisited, tornano gli Inter Arma con New Heaven. L’album esce per la Relapse, ed è composto da otto canzoni per un totale di quasi 42 minuti di musica molto densa.
Il quintetto di Richmond, Virginia, apre le danze in maniera grandiosa con “New Heaven”, che mi fa subito sperare in un bel disco: un condensato di cattiveria, tecnica, dissonanze e tempi dispari, con un ottimo riff centrale sulla quale si basa l’intera canzone. Dal punto di vista della preparazione dei musicisti non c’è niente da dire: tutti molto preparati e ben consapevoli del loro potenziale, con un nota di merito al bassista Joel Moore, nuova entrata nella formazione, dopo ben quattro cambi che non sono andati a buon fine. Purtroppo però, dal punto di vista sonoro e compositivo, mi ricordano molto gli Ulcerate, solo un po’ più pompati a steroidi: anche se più malsani e maligni, ricordano spesso – o troppo – il trio neo zelandese. Quando invece si spingono verso i confini del black metal, ricordano molto i Tombs. Tutto questo elaborato giro di parole per dire che, nonostante siano musicisti preparati e di certo non alle prime armi, la musica proposta ha un retrogusto di già sentito, e questa atmosfera aleggia per l’intera durata dell’album. E dato che stiamo parlando di tecnica, permettetemi una breve divagazione riguardo agli assoli: nonostante siano ben suonati e arrangiati, alcuni sembrano arrivare direttamente dagli anni Ottanta, risultando quindi un po’ fuori luogo. Segue “Violet Seizures”, ottima mazzata che strizza un occhio al black metal più classico, con un inspirato break a metà. Questa è forse la migliore canzone del disco, ma purtroppo, da qui in avanti, New Heaven va a perdere mordente. In certe canzoni infatti si sente un po’ di confusione a livello di scrittura, come ad esempio nella successiva “Desolation’s Harp”: troppa carne al fuoco che fa perdere l’obiettivo al brano, risultando molto confuso. “Endless Grey” è un breve intermezzo molto bello e ispirato, soprattutto per il basso che risulta in primo piano, e che potrebbe essere stato scritto direttamente da Cliff Burton. Questo intermezzo segna la fine di quello che sarebbe il Lato A del disco, ma anche l’inizio di un cambio di stile che continua con la successiva “Gardens in the Dark”, completamente diversa dalle canzoni precedenti, cosa che contribuisce a dare la sensazione di confusione di cui accennavo prima. Penso che questo distacco e differenza in termine di stile tra Lato A e Lato B dell’album sia stato voluto, ma non credo che in molti riusciranno ad apprezzarlo fino in fondo, specialmente se l’opera viene ascoltata in formato digitale. A causa di questo cambio di direzione a metà disco, New Heaven risulta poco coerente e coeso e, nella sua interezza, mi ha lasciato un po’ spaesato. “The Children the Bombs Overlooked” è molto strana, quasi teatrale, ma mi suona molto come canzone-riempitivo che non lascia molto all’ascoltatore; l’unica nota positiva di questa traccia è il lavoro del batterista T.J. Childers. Il disco poi ritorna – quasi – sui propri passi con “Concrete Cliffs”, la quale mischia per bene parti più pesanti con aperture più progressive, e a chiudere l’album troviamo “Forest Service Road Blues”: pezzo suggestivo, ma che ruba l’atmosfera direttamente dai loro vicini di casa U.S. Christmas.
In conclusione, New Heaven manca di una specifica direzione e nonostante un inizio potente e malefico, va un po’ a perdersi nel finale, perdendo anche di personalità. Di certo non un capolavoro, ma si lascia comunque ascoltare un paio di volte, anche se di sicuro finirà nel dimenticatoio molto velocemente.
(Relapse Records, 2024)
1. New Heaven
2. Violet Seizures
3. Desolation’s Harp
4. Endless Grey
5. Gardens in the Dark
6. The Children the Bombs Overlooked
7. Concrete Cliffs
8. Forest Service Road Blues