Per gli amanti del tecnicismo delle basse frequenze il nome Jeff Hughell è tutt’altro che nuovo, e così è sicuramente per chiunque si cibi decentemente di metal estremo tecnico. Partito come una mina impazzita con contributi del calibro di Apocalyptic Feasting e Reciprocal ora ai più sarà noto come le 7 corde dietro i Six Feet Under in Unborn e Torment. Certo, fa indiscutibilmente effetto associare un nome di spicco della tecnica bassistica agli AC/DC del death metal, ma il Nostro non è certo il primo a doversi portare a casa la cosiddetta pagnotta, e infatti in parallelo a questo dubbio impiego, alla sua carriera lavorativa da persona “normale”, porta avanti anche un’interessantissima visione solista del proprio strumento. Partito con Chaos Labyrinth e la miriade di ospiti di spicco (tra cui Webster, DiGiorgio, Talley e altri) il nostro ha prodotto nel 2016 quello che ad ora è forse il suo migliore parto, ovvero lo strambo Trinidad Scorpion Hallucinations, dove oltre ai sempre presenti ospiti di lusso (LaPointe, Grossman e Brandino tra i tanti), una copertina cretina e tanta tecnica figura pure un sound alle volte intimo e delicato e un gusto per l’arrangiamento notevole.
Tornando ora però al presente, Hughell si ripresenta con Sleep Deprivation pronto a cambiare le carte in tavola di quello che pareva essere ormai un diktat compositivo. Forse stanco delle perenni collaborazioni infinite, il 2019 vede il disco meno collaborativo di Hughell prendere forma in un composto di death molto contenuto e ammaestrato, formalmente ridotto a un impatto non troppo esasperante e violento, una struttura molto più prog-oriented, il tutto senza però togliere la voglia sperimentale del nostro che si cimenta pure in tastiere e chitarre. Memorabile è Pitruzzella (anche lui nei 6FU e in svariati progetti brutal), che si cimenta nella sua performance più contenuta di sempre, e bisogna ammettere che fa un certo effetto essendo abituati a sentirlo blastare a più non posso (anche se poi ci concede il consueto svago in alcuni momenti). Un neo – che tale non è ma abbiamo voglia di fare polemica – è il trend del sax nel metal, anche se qui è dosato in maniera estremamente cauta e intelligente chiamando all’opera Jørgen Munkeby sulla sola “Sleep Deprivation”, dove appare anche un solo di Suhy (6FU e Cannabis Corpse), e qui Hughell va premiato per non aver ceduto del tutto al trend del prog e la prostituzione del sax odierno. Infine è d’obbligo citare la geniale “The Darkside”, che per quanto concerne la personale conoscenza è la prima canzone di questo tipo contenente una sezione in beatbox (Erik Andersen e Mack Lawson, amici di Hughell) e citiamo pure l’evitabile macchina in “Crash”, anche se da questo folle barbone potevamo aspettarci anche di peggio.
Tirando le somme Sleep Deprivation è un gran album, forse solo più standard in molti passaggi rispetto ai precedenti sforzi di Hughell ma non per questo meno fantasioso, come dimostrano le idee di cui sopra. Meno collaborazioni, quindi meno interventi esterni e pertanto un’anima più personale di quello che è Jeff Hughell nel 2019, ovvero un musicista da far invidia e mai a corto d’idee. Copertine orride a parte.
(Autoproduzione, 2019)
1. Night Terrors (Pitruzzella, Layne)
2. Drift Off (Pitruzzella)
3. Crash (Pitruzzella)
4. Sleep Paralysis (Munkeby, Pitruzzella, Suhy)
5. Autohypnosis (Pitruzzella)
6. Falling Into
7. Sleep Deprivation (Pitruzzella, Layne)
8. The Darkside (Andersen, Lawson, Pitruzzella)