Ci sono limiti in musica? Praticamente no, ma formalmente il loro limite è senza fine, e di esempi si riempirebbero pagine e pagine di elenchi. La sperimentazione è vero, non sempre coglie nel segno, alle volte osa troppo, altre volte è in anticipo sui tempi, altre ancora non è nemmeno tale. Ad essere onesti, si dovrebbero elaborare sproloqui immensi per poter capire bene cosa sia la sperimentazione. Un destino in comune, a ben vedere, con generi che loro malgrado sono stati usati per incorporare ogni qual cosa fosse difficilmente catalogabile. E quando mai questi vengono usati? Quando la definizione stessa si presta a significati attribuibili con margini enormi, con confini talmente malleabili che ogni cosa può tranquillamente esservi catalogata senza colpo ferire. Facile fare poi esempi con gli abusatissimi avant-garde, che, se ci affidiamo all’etimologia, è davvero arduo riuscire a usarlo con criterio, e drone, un vero e proprio fenomeno globale manchevole tuttavia di una dovuta riclassificazione, o estensione a più sottoclassi. Accadono poi quei casi in cui ci si ritrova a rimanere perplessi sul prodotto, fatalmente perplessi, ma così tanto perplessi da chiedersi se davvero si voglia continuare con queste manfrine sulla definizione di sperimentale e non, di nicchia e non, bello e non, ed altri binomi eterni.
Col nuovo Respice Finem (al cui titolo potrebbe essere dedicato un capitolo intero di un saggio) il prode baluardo della sperimentazione sonora Jute Gyte lancia un’altra intrigante sfida. Questo poiché, con una sola traccia di quasi un’ora e mezza, Adam Kalmbach fornisce tutte le condizioni al contorno per plasmare una spada di Damocle sulla propria creazione. Ci piace pensare che sotto sotto se la goda. Adam difatti, personaggio dai molteplici progetti passati ma ora formalmente impegnato dietro la fucina a nome JG, non ha mai posto limiti di sorta a questo progetto. I primi lavori insistevano su una sperimentazione elettronica estremamente variegata, passando poi per un black metal imbastardito da teorie compositive complesse e cervellotiche figlie dei migliori teorici musicali del tempo (ma per ovvi motivi storici principalmente del XX-imo secolo). Ecco quindi che con l’ultimo parto il nostro si dedica a un esperimento invero non nuovo nel campo della musica, ma che risulta sempre affascinante ed ammaliante. Respice Finem è costruito su due elementi soltanto: una breve traccia e una automazione algoritmica. Il sample utilizzato, di per sé, dura pochi secondi, ma, mediante l’uso di oscillatori a basse frequenze che randomicamente modulano una spazializzazione bi-neurale e un continuo avanzare del punto d’inizio così come un anticipo del punto di fine, l’ascoltare è portato a un ascolto sempre diverso e che evolve sotto la sua completa disattenzione. Il punto focale è aver sapientemente concepito la contrazione al centro della traccia verso metà dell’opera, così come la successiva distensione che ne segue, e aver calibrato le quasi millesimali variazioni del sample, così che raramente si troveranno sostanziali differenze tra un punto e l’altro, mentre questo continuerà la sua lenta e inesorabile evoluzione verso qualcosa di sempre nuovo. In realtà ovviamente differenze se ne sentono, specialmente laddove la fine sample provoca un evidentissima pausa o con oscillazioni alle volte più invasive, ma il gioco è anche questo, e qui sta la sperimentazione meravigliosa a cui si è chiamati ad essere testimoni. Siamo ben distanti dalle classiche modalità compositive, qui nulla è seguito man mano durante l’evoluzione, ma viene fornito solo ed esclusivamente il punto di partenza, affidandosi poi al caso e all’esistenza calcolata di soli tre punti per orientarsi: inizio, metà e fine. Così, i toni eterei e vagamente sacri si trasformano man mano ora in una cantilena, ora in una preghiera, ora in un pianto lungo ed esteso, ora nell’indefinito, senza mai fermarsi se non alla morte di questo processo. Ecco anche svelato così il senso nascosto dietro il titolo scelto, l’aspettare la fine, ovvero che inizio e fine, che sono gli elementi portanti della modifica del breve sample, si estendono nelle successive modifiche a inizio e fine del pezzo risultante in toto, un’elaborazione che parte dal micro per generare un macro, il quale si rivela così come un frattale, che noi siamo chiamati per una volta a visionare al contrario, dall’atomo alla sovrastruttura. È un passato che si spiega solo con l’avvento del futuro, o, ancora meglio, un futuro che genera il passato stesso.
La genialità se così vogliamo, poggia su più punti. Il continuo e piccolo e poco percettibile cambiamento, perché è palese che nessuno può mantenere la soglia d’attenzione per così tanto tempo senza distrarsi, e infatti ,citando un grande espero di dilatazione come Chandler: “Non è un caso che il pop si aggiri intorno a un minutaggio ridotto”. L’assenza di quella che è una composizione musicale convenzionale, non vi è una struttura definita dall’inizio alla fine, il risultato è precluso anche al compositore. È sostanzialmente musica artificiale, è la macchina, anche se ovviamente programmata in precedenza, che elabora, che suona, la mano umana si ferma ben prima, nel mentre smette di essere presente l’intrusione umana. A essere onesti pare quasi di voler vendere un’opera di arte astratta e di dover intortare il pubblico ivi presente, come spesso capita di vedere girovagando malauguratamente tra i canali di arte. La realtà però è diversa, perché Kalmbach non è uno che “fa tanto per fare”, non lascia nulla al caso. Ogni suo lavoro pubblicato sotto lo pseudonimo di Jute Gyte è sempre stato un cesellamento di vari elementi, tutti dati elaborati perché lui in primis potesse vedere applicate teorie e concetti che lo affascinavano in quel preciso momento. È un comportamento che indubbiamente porta poco in là, spesso il risultato sfiora l’inascoltabile, ma l’onestà dello sforzo dell’americano è quanto di più genuino ci si possa commuovere. Respice Finem non è un lavoro adatto a tutti, non vuole esserlo così come il partoriente Jute Gyte non vuole essere un progetto affine al gusto di tutti, e non pare averne mai vista nemmeno la necessità, ad essere onesti. Certo, se siete mossi da curiosità, è già candidato a sperimentazione sonora del 2020. Se avete apprezzato la teoria del loop elevata ad arte del maestro Basinski, allora questo è un obbligo che andrebbe reso costituzionale. Nel caso in cui non si sia in grado di metabolizzare il concetto che vi è dietro girare pure l’angolo, questa non è una porta che vi si consiglia di aprire.
(Autoproduzione, 2020)
1. Respice Finem