Oggi vi parlerò di come sono riuscito ad attraversare uno sconfinato deserto, nel buio più totale, tra momenti di euforia, ed altri di sconforto.
Il debutto dei danesi Karambolage è un viaggio solitario, dove sono solo la luna, le stelle e le suggestioni create da esse a tenerci compagnia. L’album si apre con la title-track “Prås”, un variegato brano che delinea fin da subito le caratteristiche principali di questo lavoro: come da tradizione stoner rock, l’attenzione è rivolta ai riff di chitarra, alternando momenti più quieti e melodici, ad altri più tonanti; la poliedricità dei tre musicisti non viene nascosta fin dal principio, mescolando il genere sopracitato assieme al post-rock e al progressive rock, quest’ultimo riscontrabile nell’epica cavalcata che va a chiudere il pezzo, ricordando il memorabile riff di “Roundabout” degli Yes. Questo richiamo, voluto o no, oltre ad avermi reso piuttosto gaudente, mi ha dato la giusta determinazione per affrontare l’appena iniziato pellegrinaggio. Il secondo brano “Spankuler” si apre ritmicamente, in una danza tra basso e chitarra, per poi placarsi momentaneamente prima di diramarsi in molteplici direzioni, facendoci sentire spaesati e non al sicuro. Ad un tratto ci troviamo davanti ad un enorme essere strisciante, il quale continua a vessarci fino a scomparire nel nulla. Torniamo ad essere soli, dopo questa visione orrorifica, senza avere la minima idea di dove dirigerci. La bellezza della musica strumentale è anche questa, lasciare libero l’ascoltare di creare le proprie immagini mentali. Arriviamo dunque a “Flab”: un lungo e sbieco breakdown che serpeggia attorno a noi, mescolando un dissonante groove ad un riffing sabbatiano, rallentando ulteriormente la nostra progressione in questo lungo viaggio sonoro, il quale virerà verso sonorità più atmosferiche, ma soprattutto meno ritmiche. I successivi brani, per quanto piacevoli, sono un poco meno personali: “Gryr” propone un post-rock dilatato, di buona fattura, il quale non aggiunge niente di particolarmente ragguardevole se non il basso stoner rock posto in chiusura, mentre “Gestalt”, pur rimanendo nei territori del brano precedente, riesce ad introdurre un serrato groove di batteria, prima di sfociare in un rallentamento stoner metal pregno di fuzz, non incredibilmente originale, ma sicuramente funzionale alla chiusura del brano stesso. Iniziamo ad intravedere il sole timidamente sorgere, evincendo il vicino compimento del viaggio: “Støvet” si innalza lentamente al cielo, aggiungendo alla collaudata formula una nota di emotività, facendoci percepire tutta la stanchezza di questo lungo e faticoso viaggio, per poi chiudersi in sé stesso con delle purificatrici bordate di chitarra.
Il pellegrinaggio è finito, il sole è sorto, le nostre pene sono state espiate. Oscillando tra momenti più delicati ed altri più distorti, tra momenti più illuminati ed altri meno, possiamo affermare con tranquillità che il trio danese è riuscito a plasmare un album di debutto più che buono, riuscendo in un’impresa non propriamente delle più facili: dire tante cose, senza il minimo bisogno di cantare in un microfono.
(Moment Of Horseplay, 2023)
1. Prås
2. Spankuler
3. Flab
4. Gryr
5. Gestalt
6. Støvet