I Kazea arrivano dalla Svezia, si sono formati da poco, circa due anni, sono un trio (con esperienze pregresse con Orochen e Hellsongs) e I. Ancestral è un gran bel debutto. Jonas Mattsson (voce e chitarra), Rasmus Lindblom (basso e synth) e Daniel Olsson (batteria) rientrano nel calderone del post-metal, che spesso vuol dire tutto e niente. Difatti il prefisso post- è oramai abusato, in molte occasioni ha perso totalmente il suo significato originario, assumendo i connotati di qualcosa di fumoso, poco definito. Invece il trio ha le idee chiare su come debba suonare la macchina Kazea: se una band come i Cult Of Luna rappresenta per il trio la stella cometa da seguire fino a destinazione, ecco che nel tragitto i Nostri fanno varie tappe per ristorare il proprio sound. Abbiamo del post-rock, fresco di rugiada del mattino, così come del folk, con quel velo di malinconia che si sposa benissimo al tramonto, accompagnando uno sludge “a modo”, che non deborda mai nell’irruenza e nella polvere che riempie ogni orifizio. Il post-metal che ne viene fuori è ricco di questi particolari ma anche di piccole inflessioni, come il death country in alcune linee vocali, il tutto in una forma snella, organica, non c’è crisi di rigetto tra le differenti componenti del sound della band di Göteborg. I. Ancestral è un disco che parla al cuore di chi ascolta, seduce l’anima, cura la mente. È un album fotografico ove ritrovare momenti di un passato felice e se calde lacrime faranno capolino durante i 37 minuti di durata, non deve spaventarsi nessuno, anzi, benvenute lacrime calde, benvenute!
“With a Knife” apre il disco con la sua introspezione, con parole declamate con somma eleganza e tragicità: un ottimo modo per introdurci nel loro mondo. Un mondo che respira atmosfere rarefatte, appena accennate; un sound che è cinematografico in molti passaggi: c’è tabacco, c’è alcol, c’è seduzione. E sangue, metallo, velluto, pasticche e specchi rotti, probabilmente infranti da una sezione ritmica incalzante (il post-rock sognante di “Pale City Skin”) o da un’attitudine che non si fa fatica a definire punk (la decadente e nostalgica “Whispering Hand”). Quando poi i Kazea vogliono strappare il biglietto per il paradiso, ecco che calano l’asso pigliatutto: “Trenches” è semplicemente devastante, con un ritornello che ti spacca in due, dove il fantasma di Billy Corgan è un faro nella notte, è un lavoro basso/batteria che fa tabula rasa di ogni cosa. Ripeto: un brano che è una bomba atomica, mi piega in due ogni volta, e sono sempre lacrime calde (Benvenute! Bentornate! Puttanelle!). Nel disco trovano spazio anche momenti autocelebrativi (“The North Passage” è sostanzialmente un file Zip dei precedenti pezzi), assalti quasi hardcore e, pare assurdo, cantautorali (“Wailing Blood” è un homeless che ha visto giorni migliori e ora balla la fine del mondo) e una semi ballad, “Seamlessly Woven”, che incontra le basse frequenze di Tooliana memoria, con un Jonas Mattsson che nelle note basse, con quella pronuncia così sporca, riesce a toccare il fondo del cuore di chi ascolta. Un brano che è dinamico ma sognante, semplice ma profondamente emozionante.
Una chiusura perfetta per un album che poteva essere un capolavoro ma che, datemi retta, suona ugualmente alla grandissima. Quando il post-metal diventa meno egoriferito e autoindulgente e si ricorda che l’emozione è la prima cosa, ecco, quando succede tutto ciò, il post-metal rimane la panacea per tutti i mali.
(Suicide Records, 2025)
1. With a Knife
2. Pale City Skin
3. Trenches (feat. Gina Wiklund)
4. Whispering Hand
5. A Strange Burial
6. Wailing Blood
7. The North Passage (feat. Oskar Tornborg)
8. Seamlessly Woven