Interessante progetto che arriva dalla Francia, dal nome impossibile da ricordarsi (e pure da pronunciare per chi non è avvezzo all’idioma dei cugini d’Oltralpe). Attivi dal 2004, con questo Melancolia tagliano il traguardo del quarto disco in studio. La band propone un particolare miscuglio di generi e influenze che possono comodamente finire nel cilindro magico denominato avantgarde. I Nostri, oltre alla strumentazione classica (Mika al basso, Adri alla batteria, Mathieu chitarre e voce) utilizzano pesantemente anche un cello elettrico (Fanny, che si occupa inoltre dei samples insieme a Kris, chitarrista e voce) andando a creare un sound accattivante che difficilmente può deludere chi nella musica cerca raffinatezza e ricercatezza.
L’album parte col botto: “Crashline” è un’intro strumentale che ci incalza senza tanti giri a vuoto, portandoci al brano di punta, “Cutoff”, un manifesto Pattoniano dove possiamo lasciarci tramortire da fughe free jazz, sudore da improvvisazione, linee vocali che fanno del teatro canzone un palco dove mostrare tutto il loro spettro, arrivando a lambire elettronica, prog e proto-black metal, archi ottocenteschi e parti che puzzano di ganja hip hop; “Asphalt”, nomen omen, letteralmente ci colpisce duramente utilizzando atmosfere romantiche – al netto di ritmiche serrate – con un cantato che trasmette sofferenza accompagnato ottimamente da un cello che ne sottolinea ogni venatura accrescendo la quota botta al cuore del brano. Un pizzico di calma – ne abbiamo bisogno – ce lo concede “Dark Inception”, arioso brano che a spizzica bocconi pop rock, dark wave e modern metal; gli archi conferiscono un andamento fiero al tutto mentre una inaspettata irruenza nu metal salta fuori qui e lì. Un brano formalmente perfetto per raggiungere le vette di una classifica ma “artisticamente” un pelo sotto le tracce precedenti. La parte centrale soffre un po’, andando a flettersi su se stessa con un trittico di canzoni che poco aggiungono al valore del disco. “Crescendown” è una strumentale sì carina ma decisamente troppo lunga. Mancando della componente “wow” risulta un semplice break messo a metà album. “Attraction”, che nasce sulle tonalità della precedente, ricalca un pò l’ossatura di “Dark Inception” salvo poi scompaginare tutto con una bella botta di follia che ugualmente lascia dei dubbi: apprezzabile ma non centrata. “Hikki” invece è un matrimonio che non s’ha da fare tra nu metal e avantgarde: chitarre spocchiose, strofe e ritornelli in contrasto tra loro, romanticismo completamente azzerato, meno poesia, più sudore. Se fossimo al cospetto di un extended play verrebbe da dire: 1 a 1 e palla al centro. Ma i cinque decidono di piazzare un bel colpo di reni, andando a chiudere il disco con la title-track, una bella strumentale, piena di pathos anche quando subentrano dei riff grossi e villani. Il cello risulta essere il protagonista indiscusso, finendo per esaltare il senso di tristezza che collega tutti i brani; “Last Star” è una piccola gemma, in sordina, bussa alla porta, mostra fattezze già note ma poi si lascia andare, dischiudendo il suo inno all’inverno del cuore. “Highway 21” è volutamente più chiassosa, con tanta elettronica, una danza noise, liberatoria, la perfetta colonna sonora per un viaggio. Forse l’ultimo.
E l’album si chiude così. Lasciando un sedimento che non va sprecato.
(Autoproduzione, 2024)
1. Crashline
2. Cutoff
3. Asphalt
4. Dark Inception
5. Crescendown
6. Attraction
7. Hikki
8. Melancolia
9. Last Star
10. Highway 21