Tra i dischi italiani usciti quest’anno il loro Volume II è uno di quelli che più ha girato nel nostro stereo, ma già il suo predecessore, l’acustico Volume III uscito l’anno scorso, aveva riportato l’attenzione su di loro dopo diversi anni di silenzio. Abbiamo dunque fatto qualche domanda a Dano dei Last Minute To Jaffna, che si è rivelato decisamente disponibile e loquace: visto che la conversazione è corposa, chiudiamo subito l’introduzione invitandovi ancora una volta a scoprire questa band. Buona lettura.
Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Grind On The Road. Cominciamo con la domanda più banale: perché Volume II esce dopo Volume III?
Siamo sempre stati scarsi in matematica, non abbiamo mai imparato a contare per bene. Entrambi i dischi erano pronti a fine 2013, ma Volume III è uscito prima perché, non pubblicando niente da anni, volevamo evitare che II passasse in sordina: è andata bene, III ha risvegliato attenzione e appetiti, II è uscito come volevamo.
Siete attivi ormai da un decennio, eppure questo è “solo” il vostro terzo album. Posto che quando si tratta di pubblicare dischi il “pochi ma buoni” è un concetto apprezzabilissimo, mi chiedo se non abbiano influito sulla vostra scarsa produttività anche i cambi di formazione.
Sicuramente si! Dopo le date seguite a Volume I abbiamo avuto diversi cambi di bassista, e il fatto di non avere una lineup stabile ha complicato un po’ le cose. Ora Gianmaria suona con noi da un paio d’anni e non a caso abbiamo già un po’ di materiale per una prossima uscita.
Due dei brani presenti sul nuovo album erano già in Volume III, quindi immagino li suonaste già dal vivo. In quale arco temporale e in che modo sono stati composti i pezzi di Volume II?
I pezzi di Volume II più vecchi risalgono al 2008, il periodo immediatamente successivo alla registrazione di I, non a caso “Chapter XII” era già uscita su Diluvian Temperals della Abridged Pause Recordings nel 2009. Quando nel 2011 abbiamo iniziato a lavorare sull’acustico, abbiamo deciso di riarrangiare sia alcuni pezzi di Volume I che alcuni di quelli che stavamo scrivendo per Volume II, senza stare a preoccuparci su quale disco sarebbe uscito per primo. Sul come siano stati composti i pezzi di Volume II, ci sono diverse risposte possibili, il fatto che sul disco ci siano parti scritte con tre bassisti diversi è abbastanza esemplificativo. In linea di massima alcuni pezzi sono nati da jam sessions, alcuni sono nati portando alle prove qualche idea e lavorandoci su assieme, altri invece sono nati a casa con voce e chitarra. Non abbiamo un modus operandi definito, il che da un lato ci aiuta ad avere pezzi abbastanza diversi tra loro, ma dall’altro fa si che spesso la composizione vada molto a rilento.
Già nella recensione ho espresso qualche perplessità su “Chapter DCLXVI”. Ci potete spiegare com’è nato questo brano e perché avete deciso di posizionarlo proprio a metà della tracklist?
E’ un po’ un pezzo a se, frutto delle jam sessions di cui parlavamo prima. Ci piaceva l’idea di provare a far qualcosa di diverso, di strano, a costo di far storcere qualche naso. L’abbiamo messo idealmente alla fine della prima parte del disco, come fosse una specie di intervallo.
Quanto ha influito l’esperienza di suonare in acustico poi convogliata in Volume III sull’approccio alla vostra musica?
Diciamo che è stata una bella scossa. Il fatto di riprendere in mano roba molto vecchia, suonata e risuonata fino alla nausea, per rivoltarla e farla suonare in maniera del tutto diversa è stata un’esperienza che ci ha veramente allargato le vedute, ci ha mostrato sfaccettature dei nostri pezzi che nemmeno noi pensavamo potessero avere, tant’è che persino alcuni elementi del nostro live elettrico senza l’esperienza dell’acustico non sarebbero così come sono. Come si diceva Volume II e III sono stati sviluppati in parallelo per cui II non ha risentito granché di tutto questo, ma senza ombra di dubbio i pezzi nuovi su cui stiamo lavorando ora a livello di approccio risentono moltissimo dell’esperienza di III.
Ricordo il “momento storico” in cui uscì Volume I: eravate tra i primi in Italia a proporre certe sonorità, diciamo così, “neurosisiane”. Cosa provate a guardarvi indietro e a guardarvi intorno oggi?
Beh diciamo che prima di noi c’erano stati diversi gruppi, vedi Concrete o Dehumanize, ma sicuramente era una roba abbastanza di nicchia; dieci anni dopo il filone post è esploso, alcune band sono riuscite a prendere una direzione personale ma tante altre fanno cose che proprio non mi dicono nulla. Non penso sia un caso il fatto che i gruppi che nel genere hanno saputo dare una loro impronta siano gruppi che han cominciato nel nostro stesso periodo, e penso a band come Viscera///, Lento, Gerda o Three Steps To The Ocean, o che arrivano da esperienze precedenti, come i Si Non Sedes Is.
Sempre sulla questione del “genere”: vorrei non usare quelle paroline magiche, ma è inevitabile oggi far riferimento al grande calderone del “post metal” per definire la tendenza imperante (e tardiva) nell’underground italiano. Non pensate che questa proliferazione di band che si definiscono candidamente “post metal” provochi un abbassamento del livello di qualità richiesto dal pubblico, e che una band come la vostra, tra l’altro non ossessionata dall’aspetto “promozionale”, possa essere “buttata nel calderone” e passare inosservata?
Guarda, le etichette mi interessano poco. Dieci anni fa ci etichettavano come gruppo post hardcore, oggi rientriamo nel post metal ma in realtà suoniamo sempre la stessa roba. L’abbassamento del livello credo che più che dalle etichette derivi dal fatto che il costo delle registrazioni sia decisamente più accessibile rispetto a dieci – quindici anni fa e contestualmente grazie a Facebook, Bandcamp etc sia ormai semplicissimo diffondere la propria musica.
Sul fatto che possiamo essere considerati un gruppo tra i tanti.. beh, in fondo è quel che siamo, no? A me non piacciono un sacco di gruppi che suonano il nostro genere, ci sta che ad altri non piacciano i Last Minute To Jaffna. Come dici tu, non siamo ossessionati dal fatto di avere “successo”, ci interessa innanzitutto suonare musica che ci piaccia e che riteniamo interessante, poi ben venga quel che viene.
Cambiamo totalmente argomento: che rapporto avete con Torino? E in generale, la vostra terra influenza in qualche modo la vostra musica?
Ognuno di noi potrebbe risponderti in maniera diversa visto che abbiamo tutti vissuto altrove. A me Torino piace e ci sto bene, rispetto a vent’anni fa ha cambiato pelle, anche se rimane una città dai grandissimi contrasti.
A livello di influenza, l’aura scura di Torino non te la togli facilmente. Dai Nerorgasmo ai Tons, passando per Paolo Spaccamonti, Stearica, Daniele Brusaschetto e Larsen (giusto per fare qualche nome), c’è un fil rouge (o per meglio dire, noir) che unisce moltissimi dischi fatti qua. Oltre alla nostra città ci influenza anche quello che c’è attorno: dalle montagne che vedi sulla copertina di Volume II, ai vini delle Langhe…
Parliamo proprio di copertine: il protagonista di Volume II è uno stambecco, quello di Volume III una sorta di mostro marino…
Partiamo da prima: il nostro promo ep aveva come copertina una foto subacquea, Volume I un tritone, Volume III una creatura metà tricheco e metà cinghiale, Volume II uno stambecco. Gradualmente dal mare profondissimo siamo passati alla montagna. Non è nulla di definito, semplicemente ci piace marcare anche visivamente la nostra evoluzione: siamo partiti da un punto e arriveremo altrove.
Visto che è la prima intervista sulle nostre pagine vi faccio anche la domanda alla quale avrete risposto più spesso: perché le vostre composizioni sono divise in “volumi” e “capitoli”? E, già che ci siamo, da dove nasce il vostro nome?
Sapevo che sarebbero arrivate queste domande! Jaffna è una città dello Sri Lanka distrutta dallo tsunami del Natale 2004; noi abbiamo cominciato a suonare un paio di mesi dopo quegli eventi, e ci piaceva l’idea di richiamare sin dal nome scenari apocalittici. La scelta dei “volumi” e dei “capitoli” deriva dal fatto che preferiamo lasciar parlare la musica piuttosto che le parole.
Ho finito, grazie per la vostra disponibilità. Salutate i nostri lettori come preferite.
Grazie a te per le domande interessanti, a Grind On The Road per l’ospitalità e a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere fino qua. Speriamo di vederci in giro!