Lo statuto dei Living Gate è tanto semplice quanto efficace: essere un supergruppo che suona death metal old school. Potremmo accogliere la suddetta dichiarazione d’intenti con dovuta diffidenza, dato anche il concetto stesso di superband, che storicamente risulta sbilanciarsi nettamente o nella realizzazione di prodotti musicali tiepidi o di assoluta qualità. Ma a prescindere da ogni raziocinio, è impossibile non nutrire grandiose aspettative quando nella line-up figurano Aaron Rieseberg (YOB) al basso, Lennart Bossu (Oathbreaker, Amenra) alla chitarra, Wim Coppers (Oathbreaker, Wiegedood) alla batteria, e Levy Seynaeve (Amenra, Wiegedood) a chitarra e voce. Il quintetto ha dunque realizzato l’EP di debutto Deathlust, in uscita il 12 giugno (in formato CD, tape ed un prezioso vinile 12” etched) per la prestigiosa Relapse Records, che con questa nuova firma, ma siglata da vecchie conoscenze, incastona l’ennesimo diamante nel diadema rappresentato dal proprio roster.
I cinque musicisti dissipano fin dal primo riff del disco ogni ipotetico dubbio riguardo una “operazione nostalgia” fine a se stessa, dimostrando non solo di conoscere approfonditamente gli stilemi del death metal seminale della seconda metà degli ’80 e degli inizi dei ’90, sviluppato tra Florida, Scandinavia e UK, ma di saperlo fare in maniera ispirata e brillante. Sin dall’opening track “The Delusion of Consciousness” svetta un riffwriting quanto mai ispirato e singolare, che affonda le proprie radici nel death made in Florida dei padroni di casa Obituary, Deicide e Morbid Angel (quest’ultimi chiaramente tributati anche dal logo della band), ma risultando comunque lontanissimo dal poter essere definito come strettamente derivativo. L’analisi intrinseca dei brani dimostra che non mancano gli stilemi classici del genere quali palm-muting frenetici, frasi schizofreniche e semitonali, vocals gutturali, blast beat torrenziali e perfino assoli di chitarra dal sapore novantiano ma non per questo vetusti, come testimonia quello splendidamente Schuldineriano della title-track, crocevia tra prima e seconda parte del disco. Dunque Deathlust esprime, come suggerisce il titolo, una bramosia ed un forte bisogno artistico rivolto ad un genere ben preciso, concretizzandosi in un disco death con tutti i crismi a cui non manca nulla, tinto di un’ispirazione sincera ed un’ammirazione attenta e devota ai pilastri del genere. Il disco procede nei suoi 17:51 minuti di playing tutto d’un fiato, come un fulmine che riempie il cielo per un solo attimo e subito dopo si estingue, facendo supporre che il progetto Living Gate, con questo opus, abbia messo sul banco di prova le sue potenzialità, in vista di un successivo lavoro più ampio. Eppure è inevitabile dover anche tener conto del caso eventuale in cui la volontà della superband sia quella di assumere un’identità da side-project, quindi pubblicare volta per volta piccole perle di death metal, costituendo la propria futura discografia da formati brevi quali EP, singoli o magari split brevi, caso comunque non proprio augurabile dato che l’EP di debutto passa a man basse la prova del fuoco sempre delicato per una prima release, facendolo per altro con agilità e carattere, dunque legittimando a pieno diritto un prossimo disco di minutaggio più abbondante. Una delle caratteristiche più singolari nonché evidenti del disco è, incredibilmente, il riuscire a far sentire comunque l’espressione peculiare delle band di provenienza dei cinque musicisti, quindi Amenra, Oathbreaker ma soprattutto Wiegedood all’interno di un disco death old school. La connessione sembra improbabile, eppure in Deathlust questi due mondi convivono, non in un rapporto di tolleranza ma nella sinergia di una commistione sviluppata con maestria, appunto ad opera di musicisti di conclamato spessore che hanno saputo modulare la propria espressività a piacimento, fino ad incanalarla in nuovi contesti sonori senza snaturarsi. Tali similitudini con le band di provenienza, noterà specialmente il fan di lunga data, le si riscontrano per tutto il disco, specialmente nel riffwriting, che si potrebbe ipotizzare provenire, in gran parte (se non totalmente), dall’estro creativo di Levy Seynaeve. Tale supposizione si avvalora concretamente in brani come “Heaven Ablaze”, i cui primi due riff riportano alla mente davvero nitidamente il riffing dei Wiegedood, in particolare quello esposto nel brano “Parool” (dal primo De Doden Hebben Het Goed, 2015), non scadendo però in un vacuo calco del suddetto ma piuttosto affermando una forte personalità espressiva/musicale precedentemente esposta. Il comparto tecnico, per quanto voglia essere volutamente non super dettagliato e cristallino, lasciando quindi molto libertà alla mano del musicista, è comunque da disco Relapse Records, quindi di altissimo livello, magnificando al meglio le potenzialità della band e riuscendo nel non facile intento di risultare ben bilanciato, intellegibile ed in-your-face senza essere artificioso.
Dunque i Living Gate mettono insieme un debutto eccellente che, sfondando una porta aperta, si contraddistingue della maturità di cinque musicisti con un importantissimo curriculum musicale. Con Deathlust non solo essi tributano con orgoglio il death metal seminale dei grandi nomi che scossero la scena estrema trent’anni fa (ed in alcuni casi continuano a farlo), ma dimostrano di saperlo fare con un carattere ben specifico, oltre che con lo zelo necessario per far muovere con sicurezza i primi passi al progetto. In meno di venti minuti l’EP va dritto al punto, dispiegando con risolutezza dei brani ispirati, che presentano un death metal viscerale e di altissimo livello, a cui non manca nulla per attestarsi a pieno titolo nel genere, perfino dando lustro a degli stilemi classici, qui brillantemente rimaneggiati e reinterpretati con brillantezza e personalità, motivando delle grandissime aspettative riguardo il futuro del supergruppo che, auspicabilmente, prenderà la forma di band a sé stante e non di side-project.
(Relapse Records, 2020)
01. The Delusion Of Consciousness
02. Roped
03. Deathlust
04. Heaven Ablaze
05. Living Gate