Il terzo album è sempre un traguardo importante per un gruppo; sinonimo di continuità e di volontà di perfezionare il proprio stile per lasciare un’impronta chiara, è spesso l’occasione perfetta per la propria consacrazione o, purtroppo, per ricezioni meno entusiaste dell’ascoltatore. Passaggi ancora acerbi sono pienamente comprensibili negli esordi, ma vanno prontamente perfezionati se non si vuole finire tra le innumerevoli formazioni dal potenziale inespresso. Per fortuna questo non è il caso degli LLNN, che giunti al terzo capitolo della loro carriera possono vantare una proposta solidissima, ormai giunta al salto di qualità definitivo. Già il debutto Loss del 2016 e il successivo Deads di due anni dopo sono dischi di tutto rispetto, in grado di mostrare chiaramente il motivo per cui la formazione danese merita di crescere tra i nomi conosciuti della scena sludge europea, e oggi con questo nuovo lavoro non ci sono più dubbi.
Sludge metal quindi, proposto in modo autentico, seguendo l’abrasività e l’impatto tipico dello stile pur aggiungendoci degli elementi personali, che si trovano nelle piccole cose come la durata delle canzoni, sempre limitata in confronto a una media più elevata nelle altre produzioni del genere, ma anche in elementi chiave, come il riffing e gli effetti usati. Fin dai primi secondi di musica l’atmosfera riprende Deads, con le chitarre granitiche e una voce espressiva e travolgente, che coinvolge nell’atmosfera disperata e a tratti distopica che si crea. A rendere ancora più densa e dominante l’atmosfera c’è anche l’inventiva dei danesi nell’uso dei sintetizzatori e soprattutto di suoni inusuali, esterni alla musica in senso stretto. Difatti non tutto ciò che udiamo in Unmaker deriva da strumenti musicali, ma alcuni effetti sono stati ottenuti modulando registrazioni realizzate usando varie macchine industriali di un fabbro. Una visione fuori dal comune che rafforza ogni singolo dettaglio della produzione, un esempio di come la tecnologia possa agire e trasformare gran parte delle attività umane, qui aggiungendo un elemento che contraddistingue un disco, ma in generale non sempre in maniera vantaggiosa – tema che i Nostri trattano anche nei testi.
La partenza dell’album è spietata: i primi tre pezzi racchiudono lo stile dei danesi, essenziali e dritti al punto, sludge con contaminazioni post-hardcore senza fronzoli che forma un’offensiva spaccaossa. Procedendo con l’ascolto si ha questo leitmotiv fisso ma anche dei vaghi spunti più articolati, a partire dall’intermezzo “Vakuum”, che fa tornare l’attenzione sulla tecnologia, in primo piano nel disco come evidenziato in precedenza, e la seguente “Scion”, in cui dietro ai riff cadenzati si erge evidentemente il muro imponente formato da synth e vari effetti sonori. Anche nella seconda metà il lavoro mantiene un ottimo livello, e spicca tra le altre la poliedrica “Forger”, mostrando tutti i passi in avanti effettuati in questi anni di carriera.
Unmaker è completo nei suoi dieci pezzi che lasciano un’atmosfera disperata e asfissiante, una desolazione non semplice da trasmettere per quaranta minuti continui in maniera così spietata. Gli LLNN sono riusciti a rimanere fedeli al loro stile perfezionandolo passo dopo passo, e il loro terzo full length è, al momento, la massima espressione della loro musica, che crescendo progressivamente mostra tutte le sue risorse.
(Pelagic Records, 2021)
1. Imperial
2. Desecrator
3. Obsidian
4. Vakuum
5. Scion
6. Interloper
7. Division
8. Forger
9. Tethers
10. Resurrection