Everyone Wants Something Beautiful è il primo disco degli americani Love Letter ma non può davvero considerarsi un debutto, infatti la band nasce dalle precedenti esperienze – e che esperienze! – di Jay Maas (chitarrista, ex-Defeater) e Quinn Murphy (cantante, ex-Verse) che rappresentano la spina dorsale di questo nuovo progetto. Considerato i nomi appena citati, le coordinate stilistiche sono da ricercarsi in un hardcore melodico – ma sempre pronto ad incendiarsi – che suona fresco e mai furbescamente retrò. Certo, la nostalgia per gli anni migliori, diciamo i primi Duemila, emerge prepotente durante l’ascolto dell’album: ma trapela forte un senso di genuino, una sincerità totale, un “siamo sempre noi, con i nostri dolori” che lascia senza fiato. La ricerca di una serenità si schianta amaramente nelle storie raccontate nei testi, un vero pugno nello stomaco. I tempi che viviamo, e che potranno solo peggiorare dopo le recenti elezioni americane, i vari conflitti, l’ascesa mediatica/imprenditoriale di un certo cocainomane con il pallino dello spazio, non lasciano tanto spazio alla speranza. I Love Letter di conseguenza imbastiscono un film musicale, dove mille e più orrori scorrono davanti ai nostri occhi. Anche tenendoli serrati, mentre la musica ci scombussola in più punti, i Nostri escono dai solchi del disco, ci usano violenza, ci spalancano le palpebre e ci dicono, senza tanti giri di parole, “questo è il mondo in fiamme, prova a spegnerlo con le tue lacrime“. Ma è tutto inutile, siamo palle stroboscopiche che girano a mille km orari, schegge di luce, aghi che trafiggono corpi e muri di cemento armato, diventiamo tutti dei post it appesi a muri crivellati, macerie in decomposizione, polvere e sangue secco. Un trauma che oramai è transgenerazionale – e quindi: cazzo diamo la colpa ai giovani di adesso se noi, giovani di un tempo, non abbiamo fatto nulla per migliorare le cose? – e che diventa un evergreen di sofferenza dal quale pare non esserci una via d’uscita.
Qualcuno disse “la vedi la luce in fondo al tunnel? ecco, sono i fari di un autotreno che ti sta venendo addosso!“. Perché il menù che ci presentano gli americani è di quelli indigesti, cinque stelle (de)cadenti. La solitudine di otto miliardi di persone in “New Anthemic”, dove le poche cose belle vengono gettate via nell’indifferenza totale. Mentre siamo talmente depressi che “Wellness Checks and Dead Friends” ce lo dice apertamente: il futuro è niente. Quindi perchè provare a cambiare le sorti di un mondo che sentiamo non appartenerci più? E dove non riconosciamo le persone che amiamo? “Misanthropic Holiday or Vacation” è il promemoria: perdiamo tempo; non puoi pulire i tagli profondi se stai sanguinando attraverso le persone che ami. E siamo solo alle prime tre tracce dell’album, le parole ci hanno colpito duramente, la musica contribuisce a radere al suolo le ultime resistenze. Un hardcore melodico che diventa piombo fuso dentro le vene, la mente che si ritrae, diventa secca, una piccola noce, poi scoppia. Come scoppia da anni il dramma dei senzatetto, “Non c’è bisogno di vestirsi quando i tuoi vestiti sono il tuo letto” canta Murphy in “Unhousing Projects”, una frase concisa che svela al mondo i propri errori, decapitando una vocale diventano orrori e non se ne esce più. La seguente “Settlements”, per me il brano migliore del lotto, è la foto di Gaza, del genocidio in prima serata, sangue Instagrammabile, filtri sparatissimi come bombe che illuminano a giorno le mortali ore notturne in Palestina. I Love Letter esprimono una sacrosanta verità, che l’assurdità dei nostri tempi trasforma in banalità ma tant’è: “They live in the same world we live in, deserving of the same life we’re living, the same love and growth we’ve been given“. A metà album il mio cuore cede qualche colpo. Le lacrime cominciano a scendere, la rabbia invece sale, mentre dentro di me cresce un senso di inadeguatezza che mi porta a chiedermi “cos’è il domani?”. Un domani che presenta il conto: capitalismo (“Meds and Taxes”), vite in perenne stato post-traumatico (“Debilitating Self Doubt and the Will To Use it”) e immigrazione (“Late Stage Harm Reduction”).
Nonostante la tranvata emotiva, questo primo disco è certamente un pasto caldo, un luogo certo, un tetto sopra la testa. I Love Letter ci donano un piccolo tesoro, da custodire, in attesa di un futuro migliore.
(Iodine Recordings, 2024)
1. New Anthemic
2. Wellness Checks and Dead Friends
3. Misanthropic Holiday or Vacation
4. Popular Memes
5. Unhousing Projects
6. Settlements
7. Meds and Taxes
8. Debilitating Self Doubt and the Will to Use it
9. Late Stage Harm Reduction
10. Panic Disordinary