Un’accoppiata intrigante, quella tra Magrudergrind e Primitive Man, due tra le più interessanti “nuove leve” di casa Relapse: i primi si sono imbarcati in un lungo tour per promuovere l’appena uscito II, i secondi per far girare un po’ il proprio nome in seguito alla ristampa del debutto Scorn e alla pubblicazione di un EP che ne ha sancito l’ingresso nel roster della prestigiosa etichetta statunitense. L’eterogeneità dei suoni proposti sembra aver attirato tanti altri curiosi come noi, a giudicare dalla folla, peraltro molto variegata, che ha occupato il sempre accogliente Freakout in un freddo lunedì sera bolognese. Purtroppo ci siamo persi gli opener Discomfort, della cui performance i presenti ci hanno parlato un gran bene; vedremo di recuperare alla prossima occasione.
MAGRUDERGRIND + PRIMITIVE MAN
Freakout Club, Bologna
07 / 03 / 2016
PRIMITIVE MAN
La dimensione ideale per apprezzare i Primitive Man è certamente quella del live. Il pachidermico sound della band, che su disco può apparire un po’ monotono, dal vivo acquista grande corposità e, se si riesce ad allinearsi all’estenuante ritmo imposto dal trio, regala momenti intensi e coinvolgenti. La scaletta di questa sera, che si concentra sui brani più lenti e lunghi del loro repertorio, oltre a creare un bel contrasto con le folli corse dei Magrudergrind, offre ai presenti una buona mezz’ora di tripudio sludge / doom. I pezzi dei Primitive Man, il cui impatto ricorda un po’ quello dei sempre più chiacchierati Conan, mettono a dura prova l’ascoltatore, che viene però soccorso da alcune azzeccate variazioni sul tema, sotto forma di avvincenti accelerazioni o ispirate dilatazioni sovente poste a spezzare il ritmo ossessivo normalmente mantenuto. Per tenere alta l’attenzione oltre la mezz’ora si dovrà ancora lavorare, ma la sensazione è che i Primitive Man siano molto prossimi ad un salto di qualità decisivo.
MAGRUDERGRIND
Con i Magrudergrind si cambia decisamente musica, in tutti i sensi: pochi fronzoli, una formazione ridotta all’osso (solo voce, batteria e chitarra), tanta velocità e un pubblico “protagonista”. Fin dai primi secondi di concerto infatti si accende un pogo di notevole intensità, arricchito da frequenti stage diving e culminante in un circle pit che quasi copre l’intera sala del Freakout. La crescente pila di giubbotti accatastati sull’impianto del locale è un’immagine che rende bene l’idea dell’atmosfera “intima” di festa che hanno portato con sé i tre americani, i quali a tratti sembrano piacevolmente sorpresi del calore riservatogli dagli scalmanati fans italiani (anche se il cantante tradisce un filo di comprensibile disappunto al terzo cambio di microfono forzato). Detto dunque della principale attrazione dello show, c’è da dire che pure sul palco lo spettacolo risulta divertente, a partire dal tarantolato Casey Moore, i cui movimenti dietro alle pelli ipnotizzano chi non è intento a correre per il locale. Chi invece se ne sta tranquillo e in disparte per tutto il tempo, lasciando scorrazzare libero per il palco Avi Kulawy, è il chitarrista R. J. Ober, l’uomo che già avevamo elogiato in sede di recensione per il suo arsenale di bei riff; inutile sottolineare come la varietà delle soluzioni impostate dalla chitarra nei brani del trio contribuisca notevolmente alla grande fruibilità dello show tutto. In breve, quello di stasera è stato un concerto estremamente godibile, una mezz’ora di grindcore ispirato e coinvolgente, come da tempo non se ne sentiva da queste parti, che ci conferma come nel loro ambiente i Magrudergrind siano uno dei gruppi più divertenti e “caldi” in circolazione.