I Mantar sono una macchina da guerra. Diligenti come la morte, ogni due anni (o poco più, come nel caso di questo nuovo disco) tornano a deliziarci / sfondarci i padiglioni auricolari. Nato ad Amburgo nel 2012, il duo formato da Erinc Sakarya – batteria e voce – e Hanno Klänhardt – voce e chitarra – ci ha messo poco per sfornare il debutto; da lì in poi è stata una cascata di musica rovente, spietata, amabilmente cafona e magistralmente ignorante. I Nostri hanno (quasi) equamente diviso i vari capitoli discografici in due distinti tronconi: il debutto Death By Burning, uscito nel 2014 per Svart Records, aveva le sue fondamenta su di un riuscito mix di rock and roll, punk, noise e black metal, tutti generi con tantissimi punti di contatto tra loro. Suonavano grezzi, diretti, spontanei. Lanciati dal palco del Roadburn Festival, noto per vederci lungo per band interessanti ed emergenti, la band con questo debutto ha confermato appieno quanto fatto sentire on stage. I due successivi dischi, Ode to the Flame del 2016 e The Modern Art of Setting Ablaze del 2018 (usciti per Nuclear Blast) mollano un po’ la leggerezza del rock and roll, andando ad abbracciare in toto il black metal old school mischiandolo con sludge e doom, per una serie di canzoni che fanno del marcio – aiutato anche da una produzione volutamente lo fi – il proprio vessillo. Dopo l’EP di cover del 2020, Grungetown Hooligans II (Brutal Panda Records), uscito durante la pandemia e messo a verbale come riempitivo in mancanza di materiale nuovo ma soprattutto di un nuovo contratto discografico, i Mantar trovano asilo presso la Metal Blade e pubblicano il loro quarto album in studio. È il 2022, Pain Is Forever and This Is the End sancisce il ritorno alle sonorità più catchy del debutto. Sakarya e Klänhardt da sempre riescono a far fronte alla mancanza di basso con una coesione incredibile. La batteria pesta senza mai dare l’impressione del caos gratuito, buttato lì per coprire qualche magagna, mentre la chitarra è un cestone di serpenti a sonagli che schizzano dappertutto, pronti a mordere, avvelenare, uccidere. Il songwriting, al netto dei due momenti distinti nella loro storia musicale, ha sempre una matrice chiara e ben delineata: la sfrontatezza. Che viene decodificata in maniera diversa, pur con i rimandi di cui sopra, e quindi declinata in canzoni che solo apparentemente possono sembrare identiche. Ad un ascolto attento si capisce bene che la musica dei Mantar ha diritto di esistere, una sua dignità e, che alle volte ce lo si dimentica, una bellezza che alla fine di ogni disco lascia esclamare “che manata in piena faccia, ouch!!!”.
Il nuovo Post Apocalyptic Depression, sempre per Metal Blade, conferma quanto detto fino ad ora. L’artwork del disco curato da Aron Wiesenfeld, che aveva già illustrato il debutto, è un ulteriore indizio, i tedeschi sono tornati alla loro prima abitazione, quella caverna da dove, post apocalittici primitivi, sono partiti a distribuire tremende mazzate a destra e manca. È confermato il rock and roll, il punk, c’è un pizzico di decadentismo dark, il black metal, senza il basso, rimanda ai mostri sacri del genere, è un cerchio che si chiude, un recinto che lascia fuori le persone sane di mente.
Dentro, il divertimento e il massacro tra mitologiche creature è assicurato. Un gran bel ritorno per una delle realtà più divertenti e coerenti che il panorama metal e rock ci ha donato in questi anni.
(Metal Blade Records, 2025)
1. Absolute Ghost
2. Rex Perverso
3. Principle of Command
4. Dogma Down
5. Morbid Vacation
6. Halsgericht
7. Pit of Guilt
8. Church of Suck
9. Two Choices of Eternity
10. Face of Torture
11. Axe Death Scenario
12. Cosmic Abortion