(Autoproduzione, 2010)
1. (intro)
2. Selfish Desert
3. To feed and Rust
4. Amniotic
5. Wisely Harsh
6. Bare Meadow
7. Introspected Utopia
Il progetto Meaning nasce nel 2008 dalle ceneri del gruppo “Regna”, quando il cantante Vilja Heilram e il chitarrista Imber Iperuranio decidono di suonare per proprio conto. Abbandonato lo stile old school black metal della band precedente i due decidono di imporre un suono più incisivo, basato sugli accordi dissonanti e ripetitivi di Imber e la batteria primitiva suonata da Vilja (che poi farà anche da vocalist). Nel 2010 registrano quest’album, mai uscito su disco e solo ascoltabile attraverso il loro bandcamp.
L’album si apre con un brano introduttivo catartico e primitivo che ci accompagna per poco più di due minuti, prima di esplodere nella vera e propria prima traccia, “Sellfish Desert”, una violenta litania di chitarra accompagnata da una cruda batteria e una voce ruvida, elementi che compongono quel tipico sound rintracciabile nelle band scandinave di metà anni 90, Darkthrone su tutti. L’album si mostra per quello che vuole rappresentare, un collegamento tra la seconda ondata black metal e le tematiche care ai due componenti, come l’incontro/scontro dell’uomo con la natura e, più profondamente, in termini letterario/artistici, nel titanismo e panismo. Come seconda traccia troviamo forse il pezzo più devoto a Nocturno Culto e Fenriz, dal titolo “Feed my Rust”, in cui una gelida chitarra e un blastbeat minimalista ci trasportano in gelide foreste del Nord Italia, raccontando storie antiche quanto la stessa roccia. A questo punto l’album si spezza, con una quarta traccia ambient dal sapore di nebbia e muschio, una lenta riflessione nel silenzio dei boschi dove si scontrano emozioni differenti, come gioia e paura, cercando di trasmettere quella sensazione di dispersione tipica che si può provare se si cammina in una foresta notturna senza luce. “Wisely Harsh”, per quanto l’album sia di ottima fattura, è la traccia che si innalza più maestosamente sulle altre, un travolgente uragano di sonorità oscure e selvagge fatto di riff efficaci e passionali con una batteria prima lenta, poi esplosiva, il tutto a supporto di una voce tagliente. Segue la traccia più influenzata dai primi lavori degli Ulver, “Bare Meadow”, nella quale la chitarra diventa densa come una coltre di nubi tagliata dalla batteria energetica e dissonante. A completare l’album troviamo “Introspected Utopia”, un brano che si addensa in un ambient black metal riflessivo e introspettivo, concludendosi con un discorso recitato da Vilja mentre la batteria abbandona lasciando ai synth il compito di concludere il disco.
Un album che ci riporta ad altri tempi e luoghi, uno spaccato di oscurità nelle valli trentine circondate da maestose montagne. Siamo di fronte ad un gruppo che è riuscito ad assimilare appieno il minimalismo dei Darkthrone e l’aggressività degli Ulver, unendo a questo le atmosfere che si possono respirare ascoltando i primi lavori dei Summoning. Unica pecca, una produzione fin troppo pulita, soprattutto per voce e batteria.
8.0