Di certo i Metallica non hanno bisogno di presentazioni. Questo Hardwired… To Self-destruct, a otto anni di distanza dal buon Death Magnetic, è il decimo studio album, il primo targato Blackened Recordings. L’attesa insieme alla paura è stata tanta, sia per i detrattori sia per i fan: come al solito, per gli “ortodossi”, questo disco non andrà bene e d’altro canto gli “infedeli” perdoneranno loro tutto. Il mondo del metal è pronto ad accogliere dopo tanto tempo questa nuova opera e siamo sicuri che se ne parlerà per mesi. I re, nel bene e nel male, sono tornati.
Fatta questa piccola premessa vi chiederete se c’è del buon in questo disco: sì. Il decimo studio album della leggendaria band californiana è addirittura in formato doppio disco. Per quanto riguarda la produzione possiamo affermare che questa volta è degna di una grande band, si sente tutto perfettamente come dovrebbe sempre essere. In questi ottanta minuti di musica trovate brani thrash metal, heavy metal classico ed epicità. Praticamente tutto. Il primo disco è un susseguirsi di ottime canzoni capitanate da un sempre impeccabile James Hetfield. Il frontman dimostra di essere in grandissima forma e la sua chitarra è sempre deliziosa. A questo giro finalmente si sente chiaramente il basso di Trujillo, una caratteristica che giova molto al combo americano. Sostanzialmente il primo disco regala al pubblico metal della gran adrenalina: “Hardwired”, opener devastante, “Atlas, Rise!” a dir poco accattivante con quel ritornello che penetra nella materia grigia e dall’anima anni 80, “Moth In Flame” e “Dream No More”. Quest’ultimo brano è connotato da un mid tempo malsano e granitico che è anche il nuovo brand del complesso e per certi aspetti ricorda la violentissima “The Thing That Should Not Be”. Ma dopo un pazzesco primo atto da ascoltare e riascoltare ecco che l’interesse scema. Come se avessero sparato tutte le cartucce migliori nella prima metà. Il secondo disco risulta prolisso e sbrodolone e all’ennesima rullata dell’odiato e invidiato Ulrich scatta la noia. Anche gli assoli di Hammett a lungo andare stufano, anche perché, come sempre, Kirk ha abusato troppo del wah wah. Si salvano il tributo all’indimenticato Lemmy Kilmister, intitolato “Murder One”, “Confusion” e la conclusiva “Spite Out The Bone”, canzone conclusiva al fulmicotone nel classico stile Metallica.
Dopo numerosi ascolti sorge una domanda: perché non si sono fermati alla prima parte? La mania del doppio disco sta colpendo un po’ tutti evidentemente. In ogni caso Hardwired… segna un graditissimo ritorno sulle scene, probabilmente il miglior disco post – Black Album, tuttavia rimane un po’ di rammarico rispetto alle premesse iniziali. Fortunatamente il gruppo continua a risultare affiatato ed è probabile che alcune canzoni di questo onesto full length possano entrare nella loro set-list in pianta stabile senza troppo sfigurare al cospetto dei classici del passato.
(Blackened Recordings, 2016)
Disco 1
01. Hardwired
02. Atlas, Rise!
03. Now That We’re Dead
04. Moth Into Flame
05. Am I Savage?
06. Halo on FireDisco 2
01. Confusion
02. Dream No More
03. ManUNkind
04. Here Comes Revenge
05. Murder One
06. Spit Out the Bone