La band capitanata da Brage Kråbøl pubblica il suo terzo disco, finalmente convincente a 360 gradi, dopo i due precedenti che, nonostante un discreto approccio al black metal classico, mostravano qualche lacuna e sbavatura. La struttura rimane identica: tre soli brani, perchè la numerologia è importante e quindi si sa, nel black metal nulla si lascia al caso. Tre, numero perfetto sin dall’alba dei tempi ma anche simbolo della trinità divina – così osteggiata dalla Fiamma Nera – e, questo mi piace parecchio, della totalità cosmica (che suona come la madre di tutte le armi spaziali). In questo nuovo lavoro si nota tantissimo come i musicisti abbiamo lavorato incessantemente per diversificare i brani tra loro, cosa che ahimè, nei precedenti dischi veniva messo in secondo piano, creando così l’effetto polpettone.
I dodici minuti di “Stigma” aprono le porte del girone infernale dei norvegesi; una straniante intro ci accompagna timidamente al cospetto di una bestia che spalanca le sue fauci inghiottendoci con un black metal epico, seppur dotato di melodie che colpiscono chirurgicamente. Il cantato predilige una sorta di growl gutturale, la profondità della terra che bestemmia ad alta voce. Verso la metà un break atmosferico viene in soccorso, smorzando temporaneamente la tensione; la batteria ha un ottimo groove, di facile ascolto e coinvolgimento. Piace tanto la sensazione che i Misotheist vanno spesso a creare: un sound pieno che all’improvviso si svuota quasi completamente, e questo alternarsi tra le due facce colpisce duramente e lenisce le ferite. Si resta piacevolmente spaesati (unica pecca: una sforbiciata di qualche minuto avrebbe giovato alla canzone). Nella title-track, il brano più corto del lotto, menzione speciale per la voce di IX (Willem Niemarkt) degli Urfaust che pennella magnificamente alcuni passaggi di una traccia brutale, poggiata comodamente su un grandissimo lavoro di batteria – blast beat come se piovessero – e poi il riffing circolare, ripetitivo, alienante che stupra la mente dell’ascoltatore. Anche qui i pieni e i vuoti, usati in maniera differente ma ugualmente centrata. Una canzone davvero bella ed evocativa. Vessels by Which the Devil is Made Flesh si chiude con una suite di venti minuti dove la band originaria di Trondheim da il meglio di sé, andando a creare un brano tentacolare, un vaso di Pandora che deflagra in mille e più direzioni. Tralasciando le dissonanze, qui davvero martellanti, e la frenesia dei pieni/vuoti – qui usati come un boost alla violenza generale della traccia – nei primi sei minuti di “Whitewashed Tombs” regna il caos: il black metal torna a pestare come deve, come faceva quando nei primi anni si sono scritte pagine indelebili di grandissima musica votata all’odio più genuino. Un fiume in piena che travolge ogni cosa, non lascia scampo salvo poi, intorno al minuto undici, cambiare totalmente umore e registri. Rumori di fondo, chitarra folkeggiante, corde suonate quasi per caso, nessuna voce. Una sorta di Bolero malato che piano piano s’ingrossa, diventa cattivo, snobba la gratuità della velocità e dopo tre minuti ecco il bipolarismo di Brage Kråbøl, il quale imbastisce un finale a due facce: la prima riprende il tema portante del brano – attacco frontale, violenza e tutto il dannato cucuzzaro – mentre la seconda è drammatica, portando il climax emozionale alle stelle.
In definitiva ci si trova tra le mani un dischetto di indubbie qualità artistiche, di assoluta coerenza, piena consapevolezza e una maturità nella calligrafia musicale che dimostra quanto il lavoro paghi in ogni ambito. Col quarto disco, sono sicuro, i Misotheist potranno entrare nel giro dei nomi che contano.
(Terratur Possessions, 2024)
1. Stigma
2. Vessels by Which the Devil is Made Flesh
3. Whitewashed Tombs