I monumentali Mushroom Giant tornano alla ribalta con una riedizione del loro album più importante, Painted Mantra, uscito originariamente nel 2015. Questa volta sotto l’etichetta australiana Bird’s Robe Records, che festeggia il decimo anniversario della sua lunga e granitica attività. La band nasce a Melbourne nel 2012 e durante il primo periodo attira un pubblico enorme, catturato dalle esibizioni dal vivo particolari e d’impatto. Un autentico marchio di fabbrica per questo nucleo, il loro regno teatrale pieno di luci e atmosfere sognanti si avvolge alle sonorità dure e complesse verso il progressive rock. Dopo aver calcato palchi e festival importanti insieme a collettivi affermati come Pelican e Dumbsaint, fanno il loro esordio con il primo album bomba Rails nel 2003, che lascia tutti a bocca aperta. In questa nuova versione invece vengono amplificati e strutturati al meglio tutti i passaggi e le chicche infinite, che completano questo disco in modo eccellente. Per un’opera sensibile e geniale.
L’album si apre subito con il feedback infinito di “The Drake Equation”, la chitarra delicata scandisce un tempo ricercato che a tratti si colora d’immenso e le sue ali leggere si scagliano sulla distorsione violenta del finale a tinte punk. Segue “Four Hundred and Falling” che dopo la scarica di adrenalina nel primo atto rallenta la sua corsa, sopra l’organo incantevole di Simon Wade. Il brano presenta un tiro post-rock carico di malinconia, impreziosito dal giro da brividi che innalza il pianoforte e la chitarra energica che si spalma su tutta la struttura lasciando un timbro perfetto. “Scars of the Interior” è un brano molto lungo che narra una marcia tetra dormiente. Nella parte iniziale il basso ipnotico porta il suo tempo meticoloso e si incastra ai riff aggressivi, su una tematica arabesca che si tinge di personale con un complesso assolo di chitarra. Le successive due bombe “Aesong” e “Event Loop” mettono in chiaro tutta la qualità sonora del progetto, che spazia nelle diverse sonorità, trovando sempre il perfetto punto d’incontro. Il sound si agita tra follie danzanti mistiche, passaggi ruvidi, muri pesanti e distorsioni sfrenate, fino a chiudersi nella delicatezza più totale. Invece sulla batteria quasi noise di “Primaudial Soup” si sposa alla perfezione il sottofondo profondo, per un brano diretto e godibile. Su “Tryptich” torniamo leggermente indietro con gli anni, quando le strutture lasciavano spazio a passaggi più semplici e ripetitivi, nonostante questo però il nucleo portante rimane sempre pazzesco con cambi duri e potenti. Verso la chiusura il mistero si risveglia sulle note incandescenti di “Lunar Entanglement” e il suo tempo sensibile, quasi a commuovere durante il suo ascolto. Il basso splendido si apre sulle varie sfumature e si collega alla chiusura dolce di “Majestic Blackness”, che sopra un organo antico chiude in maniera leggera il disco.
Una grande rivisitazione per la band australiana, che rispolvera un’opera mistica e sognante.
(Bird’s Robe Records, 2021)
1. The Drake Equation
2. Four Hundred and Falling
3. Scars of the Interior
4. Aesong
5. Event Loop
6. Primaudial Soup
7. Tryptich
8. Lunar Entanglement
9. Majestic Blackness