Quanta acqua è passata sotto ai ponti, quanti cadaveri sono stati portati via da quel fiume. Tutti con la stessa faccia, quella di Blake Judd, leader indiscusso dei Nachtmystium, che ha vissuto fino ad ora nei grovigli più oscuri della mente umana. Problemi decennali di droghe lo hanno spinto a truffare decine di persone. Il carcere è stato l’approdo finale. Nessuno, forse pure lo stesso Judd, avrebbe scommesso un centesimo sulla rinascita del polistrumentista. Invece la vita sa regalare lieti fine (almeno, così pare) e Blight Privilege, nono capitolo in studio (band da sempre prolifica, oramai non si contano più le varie uscite, tra album, EP, singoli, live, split e demo) è qui a ricordarcelo. Abbandonato da tempo il black metal classico – tipico dell’esordio Reign of the Malicious (2002), invero acerbo e poco convincente, mentre Demise (2004) ferale e carico d’odio e Instict: Decay (2006), tra il black e alcune divagazioni più sperimentali, mostravano una band in ascesa creativa – il gruppo americano, dal “doppio” Assassins: Black Meddle in poi ha cambiato registro, riuscendo ad amalgamare al meglio, o quasi, un sound oramai contaminato di black metal, psichedelia, post-rock, romanticismo, decadentismo e tanta, tantissima sofferenza. Album terapeutici per Judd che combatteva così i propri demoni. O forse, come supposto da qualcuno, in realtà li stava solo alimentando.
I Nachtmystium hanno una particolarità: non hanno mai pubblicato un capolavoro, ma nemmeno un album che porti ad esclamare “wow!”. Anche i miei preferiti, Silencing Machine (2012) e The World We Left Behind (2014), non mi convincono appieno, avendo al loro interno momenti trascurabili. La discontinuità diventa così un marchio di fabbrica all’interno di una discografia che oscilla clamorosamente tra dischi bruttini e altri appena gradevoli, tra titoli che sono buoni ed altri che sono sufficienti. Blight Privilege conferma quanto appena detto; se le prime tre tracce sono un perfetto manifesto del loro sound (“Survivor’s Remorse” è black metal atmosferico con alcune sfuriate, “Predator Phoenix” regala aperture melodiche, chitarre suadenti e graffianti, orecchiabilità post-punk, cori al limite del pop rock, mentre “A Slow Decay”, il brano più ricco del lotto, butta tutto nel calderone, dal metal a tinte nere alla NWOBHM, arrivando persino a lambire l’altezzosità del progressive rock), “Conquistador”, la quarta, è una palla al piede, un rappresentante della Folletto che bussa alla porta alla domenica mattina: un pezzo banale, suonato di corsa, roba che non avrebbe funzionato nemmeno dieci anni fa. La seconda parte dell’album parte meglio, “Blind Spot” è un brano in perfetto equilibrio tra metal oscuro, fughe lisergiche, rock a tutto tondo. “The Arduous March” è un midtempo granitico, un monolite circolare, le cui atmosfere ben si sposano con l’inverno della vita di Judd. Infine la title-track, messa in chiusura, è una cavalcata epica, asciugata da qualsiasi contaminazione, che punta al sodo. Le chitarre soliste, non solo in questo ultimo brano, ci donano brividi a non finire.
A conti fatti il ritorno dei Nachtmystium non ci spiazza, non ci delude, è musica che ben conosciamo, è un disco che si assesta tra le buone prove della band.
Dopo le vicissitudini di questi anni, onestamente (ma soprattutto umanamente), sapere che un Artista come Blake Judd sappia ancora emozionarci con la sua Arte è il dono che chiunque ami la musica potesse desiderare.
(Prophecy Productions, 2024)
1. Survivor’s Remorse
2. Predator Phoenix
3. A Slow Decay
4. Conquistador
5. Blind Spot
6. The Arduous March
7. Blight Privilege