I Namebearer sono un duo del Maine, terra tanto cara al buon Stephen King, ed un po’ della sua magia, del suo fascino decadente, del suo oblio, riecheggia forte in questo EP di debutto. Brian Tenison – chitarra, basso e voce – e Brendan James Hayter – batteria, synth, voce – si cimentano con fortuna in un black metal variopinto, accompagnando al meglio un concept lirico che tratta della decadenza del mondo, vicino al baratro finale. Testi che parlano di rituali, di spiriti e sacrifici, di punizioni, castighi, redenzioni. C’è un’atmosfera tribale che compenetra ogni traccia, che diventa un corpus unico con la musica che spazia da momenti concitati – e qui primeggia una rabbia primitiva, dove il black metal rivendica il suo trono di malvagità – ad altri dove si scelgono tempi più dilatati, quasi cosmici. Spesso il flusso che ne consegue è qualcosa di sciamanico, prende la mente e la porta via, lontana dai giorni nostri, le parole del duo non danno punti di riferimento, non c’è modo di capire se i loro moniti riguardino i tempi odierni. Una scelta azzeccata.
Il disco si apre con la title-track, con parti vocali che richiamano il romanticismo e la disperazione degli In The Woods…. Ottimo il lavoro della sezione ritmica, qui come sul resto del lavoro. Il duo riesce a convincere proprio in virtù di un songwriting meticoloso, che non si perde in inutili svolazzi. Pur utilizzando un ampio spettro di soluzioni stilistiche i brani ci raccontano un qualcosa di unico, un colosso emozionante, un lungo cammino dove Tenison e Hayter recitano la parte dei condottieri. Tutto intorno macerie di un mondo irriconoscibile, fiamme altissime che illuminano una notte altrimenti oscura, ove il rischiarare del fuoco non depotenzia la voracità delle nubi, di stelle che precipitano, che bucano il terreno e le carni. Un black metal che è cattivo nel suo scarnificarsi, che diventa spirituale, che tocca mondi inesplorati, con una vena prog, una lingua lasciva che seduce, un’estasi psichedelica (la strumentale posta in chiusura è perfetta, suggellando l’unione tra anime disperate che vagano su un deserto lunare). “Black Vein, Atom Drum” evidenzia ancor di più i rimandi alla band norvegese, che ritorna spesso nelle melodie vocali, sempre emozionanti ed evocative. La coda finale, con quelle percussioni tribali, che sanno di terra umida, rugiada e sangue su prati devastati da battaglie primordiali, aumenta il climax dell’album che trova in “Jäätyneen Järven Uumenissa” il suo canto selvaggio, un urlo liberatorio, parole che toccano il cuore e il cosmo, in un sodalizio che si perde nell’alba dei tempi.
La vena progressive dei Nostri impreziosisce tutte le tracce, c’è apertura mentale, c’è ariosità compositiva, c’è ardore artistico, c’è persino del vigore che ben si sposa col sudore black metal, che è il DNA della band. E come fa il Re nei suoi libri, dove anche un personaggio di contorno viene tratteggiato nei minimi dettagli, ecco che i Namebearer, pur essendo Industries of the Fading Sun un “semplice” EP, riescono ad inserire al suo interno una mole enorme di idee e soluzioni geniali che lasciano intravedere già da ora un futuro promettente per il duo americano.
(Autoproduzione, 2025)
1. Industries of the Fading Sun
2. Black Vein, Atom Drum
3. Jäätyneen Järven Uumenissa
4. Lumivyöry
5. Crystals Distill to New Earth